VOCI DAL BUIO

  

 

 

 

L’esperienza del gruppo di lavoro antimobbing della Fisac/Cgil di Napoli

 

 

 

 

 

 

a cura di
Ciro De Biase
(Segretario sas Fisac CGIL SANPAOLO IMI Napoli)

  

 

 

 

 

PREFAZIONE

Grazie all’impegno e alla dedizione del gruppo di lavoro antimobbing, è stato possibile gestire l’iniziativa del numero verde antimobbing che la Fisac CGIL Regionale unitamente alla CGIL Regionale e alla CdLM di Napoli, ha messo a disposizione di tutti i lavoratori che si trovino a vivere sul posto di lavoro la drammatica esperienza del disagio psicologico.

Prima in Italia, l’importante e significativa iniziativa della nostra Organizzazione ha rappresentato un punto di riferimento anche per altri settori e ha consentito di dare forte visibilità al nostro impegno per garantire sui luoghi di lavoro il diritto alla salute e alla sicurezza.

E’ stata un’esperienza importante anche dal punto di vista umano e ci ha permesso di entrare in relazione con una miriade di casi che hanno evidenziato la fortissima sofferenza sia fisica che morale delle persone coinvolte.

Ciro De Biase ha avuto la sensibilità di raccogliere alcune delle esperienze più significative e di raccontarle nell’elaborato che segue.

E’ un lavoro che abbiamo deciso di mettere a disposizione, ritenendo che possa essere utile al rafforzamento in tutti noi della determinazione ad intervenire soggettivamente e collettivamente nella difesa dei più deboli, i quali spesso vivono in solitudine le loro difficoltà.

Alleghiamo l’indagine sullo stress nei posti di lavoro condotta congiuntamente dal gruppo di lavoro antimobbing e dall’Asl n° 1 di Napoli.

L’indagine ha consultato circa 700 lavoratori ed i risultati sono elaborati dal Dott. Paolo Pappone, Responsabile ambulatorio specializzato per disturbi da disadattamento lavorativo presso l’Asl 1 di Napoli.

La Segreteria

I

La voce femminile, un po’ affannosa ma senza pause quasi meccanica, sembra irradiare gli echi di annose stanchezze, di levate sonnacchiose, di albe ferrigne scrutate attraverso vetri appannati per indovinare la progressione del giorno, probabilmente uguale a ieri e uguale a domani.

«Pronto è il numero anti comesidice mobbing? Mia figlia ha letto di voi sulla Repubblica mi ha spiegato qualcosa ho detto adesso telefono ma dove state - a Napoli? ah sì? buono - vedete ho cinquantasei anni senza marito madonna lavoravo nell’azienda elettrica nemmeno da tanto gestione presenze insomma esecutiva amministrativa non troppo lontano prendevo solo un pullman adesso hanno ceduto il servizio voglio dire la gestione presenze a una ditta la Cesap (voce della figlia in sottofondo: mamma ti ho già detto, non è caso di mobbing il tuo) zitta! la ditta nuova gli uffici stanno vicino all’Inps alla stazione insomma devo prendere anche due linee di metropolitana oltre al pullman eccheddiavolo sto a Chiaiano ma fuori quasi in campagna madonna mia vedete ho anche l’artrosi prendo le medicine tre o quattro pastiglie al giorno quando mi ricordo per lostope loster (voce della figlia: osteoporosi) evvabbé anche un po’ di epatite il medico mi dice sempre state attenta perché non andate in pensione gesù (già, perché? - non posso lavoro da troppo poco non ho l’età ho una figlia giovane - voce: seee, una volta - diplomata e ‘dissoccupata’) ma quello che mi sconvolge e mi arrabbia è il fatto che molti colleghi non tutti non molti del servizio presenze non sono stati ceduti sono rimasti all’azienda elettrica perché conoscevano - è comesidice clientelismo qualche dirigente qualche politicuccio fa i favori eh è così - che cosa si può fare? la mattina quelle metropolitane tristi la collinare gialla piena ti sbattono gesù fra di loro poi fino a piazza Garibaldi è peggio mi fanno male tutte le gambe devo arrancare al ritorno non ne parliamo d’inverno è scuro mi viene anche paura.... perché?»

Tu chiudi gli occhi sull’ultima domanda perché sai che non potrai (saprai) mai rispondere. Quel perché, nel suo significato finale, recondito, è un macigno scuro che ti fa piegare la testa. Ti mette una soggezione metafisica, arcaica. L’ultima fra le cose che ti puoi permettere di avere se vuoi aiutare davvero qualcuno. Resti ancora un momento così. Scompare per un attimo il telefono, la scrivania sulla quale l’abbiamo poggiato e attivato a tempo di record - noi, il gruppo - col prefisso ottocento (e poi trentaduecinquantacinquezerozero) - la postazione, l’avamposto anti mobbing, spartano: un foglio e una penna, qualche libro - scompare il salone della sede della Fisac Cgil Campania (sindacato sul territorio dei bancari/assicurativi/esattoriali), un salone luminoso come la sindacalista a cui l’abbiamo dedicato, Floria, e che è scomparsa troppo presto: gli dei amano avere con sé prima del tempo le persone generose.

Magari potesse ancora aiutare, Floria, a rispondere a questa lavoratrice che ha subìto evidentemente, assieme ad altri suoi colleghi, le conseguenze di un processo di ristrutturazione all’Enel, con la esternalizzazione ad altre aziende con diversi livelli contrattuali, forse controllate o partecipate da quella madre, di servizi secondari, a basso o nessuno valore aggiunto (si dice così, no?) vale a dire servizi che non portano utile, che comportano problemi, che non sono orientati alla missione principale dell’impresa. Esternalizzazione, ovvio, è un orrendo neologismo aziendale che sta per cessione, spesso comprende i lavoratori, i ceduti.

Forse si dovrebbe fare, adesso, indossando panni suggestivi, una convincente e forte tirata contro il capitalismo postmoderno e contro la globalizzazione, contro la metafora (e la retorica) del refolo di brezza in Giappone che fa un’inondazione in Europa, contro il cinismo del mercato, no scusate del Mercato, no scusate ancora del MERCATO, che può rendere per sempre un essere umano privo di un vero lavoro, dissoccupato (è strana questa abitudine di alcuni di noi, qui a Napoli, di pronunciarla con la doppia esse, sembra un evocare sinistramente la parola disossato). Tutte cose giuste. Di passione. Che ti danno la soddisfazione di aver capito i disegni dei potenti. O forse si dovrebbe spiegare con passione uguale, ma è più difficile, come vanno imbrigliati e regolati i disordini e i guasti economici e sociali di un mondo complesso, effervescente, frattale, a più facce, a più strati, affinché le ingiustizie con sforzo e fatica diminuiscano, affinché la democrazia, il più lento ed imperfetto ma il più giusto dei sistemi, si affermi sempre e ovunque. (Chi diceva che è il peggiore, eccettuati tutti gli altri? Churchill, credo, spocchioso ma saggio, forse).

In tutti i casi non puoi rispondere al bisogno attuale, qui e ora, della signora al telefono, ai suoi dolori alle gambe, alle metropolitane malsane, ai tardi orari, alle paure, all’ufficio lontano un pullman e due tratte della sotterranea (la città è grande: da Bagnoli a S. Giovanni, dalla collina del Vomero al porto. Del resto tutte le città possono essere grandi, e ostili, e fredde). Il sindacato avrà fatto il suo dovere, avrà obbedito al suo scopo precipuo, al suo specifico: contrattare la ristrutturazione, salvaguardare il più possibile l’occupazione, aiutare i più deboli, un minimo di solidarietà. Gli altri attori sulla scena avranno fatto la loro parte?

Riapri gli occhi: riappare tutto, salone luce telefono. Dai balconi, nei colori della primavera numero duemila A.D., il rumore sempre forte della strada, Toledo, la nuova via Toledo di Bassolino, o via Roma come ancora la chiamano (nell’ottocentosettanta da Toledo la cambiarono ufficialmente in via Roma e i napoletani continuarono a chiamarla con il vecchio nome, nei settanta del novecento le hanno ridato il nome del viceré spagnolo e nel nostro parlato molte volte avviene il contrario), in parte uguale a un boulevard parigino, europea, intrisa e umida di storia; se vuoi in filigrana t’immagini invece, sempre brulicante d’umanità, quella che vede e descrive Dumas padre nell’ottocentotrentacinque, grande e lazzara e già moderna, o quella primigenia del marchese di Villafranca, Pedro Alvarez di Toledo, guerriero gran fedele di Carlo V, che la costruì nei cinquecento, per più di un chilometro dall’attuale Piazza Dante alla vista del mare...

 

 

II

Non si può eludere ulteriormente quell’impegno vivo, un po’ ansante che hai dall’altra parte del filo, allora ti fai forza e ti decidi, c’è da dire una cosa soltanto che abbia il sapore della verità, quella se vogliamo anticipata dalla figlia: vede signora (guardate possiamo anche darci del tu non vi dispiace mica siamo tra di noi nevvero?), va bene, allora vedi, il tuo non è esattamente mobbing, (oddio, volendo si potrebbe definire una rozza forma di mobbing della vita, della Vita, ma così finisci per incartarti, occhio), vedi questa parola deriva dall’inglese, e da che altro?, e significa (nella forma verbale to mob, ti ripeti a pappagallo nella mente) assalire in massa, assaltare tumultuosamente, accerchiare e fu usato dal grande Lorenz, scienziato etologo - quello di cui si innamorò un’oca, mi pare - nei primi settanta per descrivere il comportamento di certi animali - scimmie, lupi, gallinacei, uccelli perfino - che vivono in gruppo, e che formano all’interno di questo gerarchie precise. L’individuo tra essi che non sembra più funzionale al gruppo, che non si omologa, che appare strano viene minacciato e molestato dagli altri allo scopo di estrometterlo dalla comunità, a volte fino ad ucciderlo! (cominci a perdere l’attenzione della donna che attenua un po’ il respiro, vuole capire l’attinenza, tu capisci che non la vede); in ambito aziendale, lavorativo è un comportamento vessatorio e persecutorio continuato nel tempo, sei mesi minimo dice qualche esperto - ma non sono troppi?, pensi - e messo in pratica dal datore di lavoro, ovverossia dal management aziendale - e qui si dice anche bossing - o da un superiore - e può essere definito mobbing verticale, - o dai colleghi – m. orizzontale - mirato a danneggiare, a prostrare, a sminuire la personalità di un lavoratore fino a escluderlo, a costringerlo ad andarsene o ad essere licenziato. (La signora ha un soprassalto di attenzione: insomma una vigliaccata uno schifo un terrore. Certo, signora.) Secondo chi ha studiato il fenomeno, questi comportamenti possono essere vari, spesso subdoli e sottili, come un veleno lento: dall’emarginazione fisica alle maldicenze, dalle critiche continue all’assegnazione di compiti infimi e dequalificanti, dalle ritorsioni alle umiliazioni pubbliche e la cosa gravissima è che tutto questo può portare, oltre alla perdita del lavoro, a serie conseguenze sulla qualità della vita, sulla salute fisica e psicologica, dopo vari stadi di malessere finanche al suicidio.

Adesso prendi fiato, senti che di là del telefono la signora è impressionata, ma ancora perplessa. Dopo una pausa piena di attesa, riprende con quel suo ritmo sincopato: oddio per la verità non ci penso nemmeno a togliermi di mezzo ho figli alla fine e voglio vedere i nipoti farsi grandi eccome madonna quello che mi stanca è la distanza il fatto che nessuno sembra vederti interessarsi ma a chi lo dici dei tuoi guai dei dolori eggià potevano lasciarmi dov’ero madonna mia ma forse ha ragione mia figlia per la mia situazione non è questo vostro comesidice mobbing – voce soddisfatta lontana: te l’avevo detto – zitta! eh dovrò pur trovare la pace ti pare? non vi ho rubato tempo? No, anzi, (quanto tempo finora è stato rubato a te, signora, da questa vita dimessa? al tuo benessere di persona, alle tue risate...) la tua è comunque una testimonianza (che va piano piano a sommarsi alle altre, a costruire una piramide di dolore), dobbiamo solo ringraziarti, ciao.

Clic.

Adesso sei solo di nuovo, pronto a prendere un’altra telefonata.

Pronto per davvero?

 

 

III

RAPPORTO 8

5 aprile 2000

L. M., età 53, azienda Telecom, 31 anni di servizio, livello «D» (impiegato di concetto). Diplomato.

Spostato dall’Ufficio Legale, viene «parcheggiato», da un mese, in una stanza con un solo collega, senza mansione. Ha chiesto più volte, a più dirigenti, che cosa dovesse fare: gli hanno detto di aspettare.

Piange.

L. M. è in piena catastrofe emotiva. Il pianto arriva come uno schiaffo. Aspetti in una specie di stupefatto assoluto rispetto che riesca a riprendere il racconto (quante volte nella vita hai sentito un uomo adulto singhiozzare?), la parlata è dimessa, rassegnata ma piena di una rabbia strana, non gridata, come di infinito rammarico: ha idea che voglia dire questo? da un giorno all’altro, senza spiegazioni, senza saper che fare tutto il giorno, scrivania vuota, telefono muto, i passi che misurano la stanza, il collega che imbarazzato ti guarda appena, né ti dice cosa lui fa di preciso. Niente, dice, metto a posto questi documenti, non mi hanno detto cosa devi fare tu. E ha idea come ci si senta di merda a chiedere una volta due tre quattro a dei capi tutti impettiti e melliflui, ma insomma mi avete cambiato ufficio, ma che cosa devo fare? Non si preoccupi, dice, lei aspetti. Aspettare. In un primo momento vuoi spaccare tutto, vuoi gridare, ma non lo fai, ti chiudi piano piano, pensi che non servi più a niente (ma manca ancora parecchio alla pensione, e questo ti angoscia, e comunque se non vali più niente adesso, dopo?), che sei inutile, a casa cominci a non parlare più con nessuno, tua moglie ti guarda preoccupata, strana e tu allora cominci a sbraitarle contro e tutto diventa ancora più difficile e per dormire prendi il Lexotan, e nemmeno ci riesci, rimani a guardare il buio…

Si interrompe, con l’aria di non riprendere, tu finisci il rapporto:

Interpellare sindacato aziendale. Prendere appuntamento al più presto con l’équipe medica del dottor Paolo P., Asl 1.

Per fortuna, accetta di andarci e riesce a darti il proprio recapito telefonico.

 

RAPPORTO 18

11 aprile 2000

F. L., età 50, Azienda Enel, 29 anni di servizio, Quadro Direttivo. Diplomato. (2^ volta che telefona. La prima volta non ha voluto lasciare dati).

Capo di un ufficio fino al 28 febbraio scorso. Dal primo marzo trasferito ad altra attività che, con fare arrogante, i suoi dirigenti non hanno voluto specificare. Anzi, hanno esplicitamente affermato che non c’è lavoro per lui. Staziona, senza avere nulla da fare, ancora nel vecchio ufficio, con i vecchi colleghi che prima coordinava e che adesso lo sfuggono.

Accusa: insonnia, mal di testa, palpitazioni. Ammette rapporti divenuti pessimi con moglie e figli (due). Finora non si è rivolto a nessun medico. Fa uso saltuariamente di ansiolitici autoprescritti (non ricorda quali). Ammette di bere alcolici, solo ogni tanto. Dice che a volte fantastica di andarsene via dal lavoro, senza dire niente, e non tornarvi più.

Interessare sindacato aziendale. Fissare con urgenza appuntamento équipe dottor P. Lascia recapito 081….

Vedete, è strano, diciamo la verità quando sei un capo, uno si sente azienda, «sente» l’azienda, ha coscienza di stare «dall’altra parte», di essere élite, anche se promozioni magari smettono di arrivare, anche se il servizio non è di quelli più importanti, adesso per esempio il commerciale da noi sembrano tutti dei padreterni, si capisce, lì dicono fanno i soldi, l’amministrativo meno, anche l’operativo, con gli operai in appalto e interinali, non ci sono più contatti forti, io il mio servizio era interno, d’accordo scartoffie se vogliamo, ma ho sempre creduto che la mia rotellina girasse girasse e servisse a qualcosa, facendola girare bene innanzitutto, con armonia si può dire, (e allora perché i miei impiegati mi volevano bene, per niente?) poi le forniture le hanno esternalizzate, di colpo come se l’ufficio non contasse più niente: zero virgola nulla, però cazzo è la mia azienda, quasi trent’anni buttati qui dentro, come sarebbe non c’è posto per te? come sarebbe? e io che faccio? Guardate, a volte, quando mi gira proprio male e mi rivolto nel letto la notte, e il buio sembra volermi prendere, mi viene in mente che questo farei, vado dal direttore generale, lo guardo fisso per cinque minuti, poi giro le spalle, me ne vado e dopo non ci torno più, proprio non ci torno…

Quando F. L. riattacca, ti manca un po’ l’aria, a dire la verità te ne manca molta, apri il balcone e poi rimani lì a fissare il telefono.

 

RAPPORTO 23

18 aprile 2000

M. P., età 42, Liceo Scientifico M. di P., 15 anni di servizio, insegnante di matematica con mansione di bibliotecaria.

Maldicenze e dicerie, anche sessuali, sul suo conto, da parte di colleghi docenti e alunni. Questo da tre anni a questa parte. (Nessun intervento del preside). Nel novantasette lunga assenza per malattia, in conseguenza della quale viene al ritorno adibita (dal preside, verbalmente) alla cura della biblioteca (locale malsano). Da questo momento si intensificano quelle maldicenze di cui sopra. Contattato sindacato scuola (non dice quale): risposte vaghe. Chiesto trasferimento fuori regione: mai concesso. Attualmente in attesa di visita collegiale per accertamento idoneità richiesta dalla scuola.

Accusa: gastrite, mal di testa a grappoli, stress. Non fa uso di medicinali di alcun genere.

Ma ha capito? (La voce è volitiva ma come a forza, per costrizione, sul confine sottile della disperazione). Quei figli di puttana, mi scusi a volte non vi sono parole educate che danno l’idea vera delle cose, passano davanti alla porta della biblioteca e gridano oscenità, anche quelli di prima e seconda (quelli di quinta addirittura mi fanno trovare giornaletti pornografici nel cassetto. Lo so che sono loro). Una volta hanno buttato un topo morto, una carcassa immonda, nella biblioteca. Biblioteca, poi: puah, un orrore di locale che ci piove dentro, con pochi libri, vecchi sfasciati, tanti ancora del tempo fascista, figurati che cultura (come se poi quegli ignoranti incollati sempre ai motorini e le cicche sempre in bocca che non hanno mai capito niente di niente negati in matematica dalla nascita avessero piacere a leggere o a fare ricerche, seee). I colleghi sono i peggiori, passi e senti che fanno risatine e battutine, poi come per caso buttano lì una parola volgare più forte, dopo che ti sei allontanata. Uomini vigliacchi, cosa crede, mica perché voglio essere femminista, ma quale, tutti falliti e grassi brutti e il preside che se ne frega, è peggio di loro, insinua, sfotte: Signora, lei soffre di complesso di persecuzione, dica la verità da quanto tempo non ha un uomo ah ah, ma forse lei non sta tanto bene, lei mi preoccupa, ma forse è meglio se sta a casa. Tanto per quello che fa in biblioteca. Si faccia visitare, tante volte le dessero l’invalidità…

Pausa interminabile, la voce sembra per un secondo perdere la compostezza: Ma mi dica lei, questo mobbing, questo telefono verde, vi ho visti al tg 3 Campania, buona iniziativa, ma insomma chi siete, da quanto tempo ci siete, ma mi potete aiutare? Io mi sento male, per davvero. Mi sento male. Che devo fare? (e quest’ultima cosa sembra una supplica).

Contattare sindacato interno (perché non è intervenuto ancora?).Verificare possibilità di intervento legale per cambio mansioni arbitrario. Principalmente fissare con urgenza appuntamento équipe medica ASL 1, dottor P. Recapito Tel. di M.P. 081… Fine rapporto.

 

RAPPORTO 34

24 aprile 2000

V. M., età 57, DFM ex Pierrel Industria Farmaceutica, 28 anni di servizio, operaio. Scuola media.

Già dall’ottantacinque sofferente di ipoacusia (sordità grado medio bilaterale) per inquinamento acustico al reparto fermentativo (85/90 decibel). Infermità riconosciuta da struttura pubblica: in corso pratica di riconoscimento malattia professionale (sarebbe la prima nella fabbrica). Da questo momento -un anno e mezzo fa- cominciano episodi di emarginazione. Viene spostato a gruppo di supporto, senza mansioni né carichi di lavoro, lontano dagli altri lavoratori, in una specie di box completamente isolato. Fortissimi disagi fisici e psicologici. Rapporti familiari deteriorati. Autostima zero. Assume ansiolitici, Tavor, Lexotan prescritti da medico generico

(Naturalmente devi gridare per farti ascoltare al telefono quando tenti di dire anche tu qualcosa, lui ha la voce un po’ stentorea dei deboli d’udito e dice di avere l’apparecchio acustico, ma deve funzionare poco, diresti). Porca miseria, ma io pensavo che non ci fosse niente di male a chiedere una maledetta invalidità del cavolo. Che ci può fare uno se ha una malattia. Certo, mi hanno fatto delle storie, dovremo mettere a norma, pannelli isolanti e bla bla, magari licenziare qualcuno perché i costi del cavolo aumentano, e sempre a ricattare con l’occupazione, come dicono quelli del sindacato, ma com’è allora uno può diventare un sordo del cavolo così senza fare niente, ma insomma quanto costa mettere a norma del cavolo, pensa i tappi per le orecchie è solo qualche anno che li abbiamo, che poi danno un fastidio del cavolo, e nessuno li mette. Io mi sento una schifezza, anche a casa mica va tanto bene, non ci capiamo e non solo perché sono mezzo sordo, è un pianto, i figli per cavoli loro, lo capisco vogliono la loro vita, evvabè, pazienza, la vita è una ruota, o no?, ma poi per tornare alla fabbrica, quella mi rode forte, questa cosa del cavolo sì che non la capisco, perché isolarmi, non per dire io sono uno bravo e la linea la facevo andare, con gli operai ero un fratello, certo c’è un rumore del cavolo, anche se io lo sento sempre meno, cavolo....

Interessare rsu di fabbrica. Fissare appuntamento con équipe ASL 1. Tel. 0823…Fine rapporto.

Rifletti un poco, il telefono adesso tace. (Ogni volta che c’è un lancio della nostra iniziativa -su un giornale, o una notizia di tg locali- è un assalto, altrimenti le telefonate sono più rade: occorrerebbe una informazione costante). Questo compito immalinconisce: casi o no di mobbing reale che siano, ognuno di essi ti carica di emotività e anche di dolore. Devi razionalizzare e ragionare e consigliare per il meglio e scegliere una soluzione, se no non sei utile. D’altra parte c’è un dato naturale di tensione alla sopravvivenza che aiuta anche te. Ti viene in mente Bernardini, grande scienziato, direttore della rivista Sapere: ha scritto una volta che oltre una quota di dolore, per natura ci corazziamo, la percezione si attenua, l’attenzione si raffredda, l’intelligenza si distacca e razionalizza. Pensate solo, dice, se si dovesse provare lo stesso devastante dolore che si può provare, ad esempio, per la morte di una persona cara, tutto in una volta nello stesso momento per tutti quelli che nel mondo muoiono in un giorno qualsiasi, tutti i giorni, tutti gli anni.

A dirla così sembra una cosa maledettamente giusta e ovvia.

Adesso ti ripassi mentalmente, ricordando ormai la grande mole di documentazione che il gruppo ha raccolto, una serie di consigli per resistere al mobbing.

Uno non cedere alla rassegnazione: il lavoratore mobbizzato non deve colpevolizzarsi, le motivazioni sociali e psicologiche alla base del mobbing sono complesse. Il lavoratore è solo un capro espiatorio di una situazione che vede altri responsabili.

(Lo sapete che il mobber -colui che mette in atto il comportamento mobbizzante- molte volte, quando non agisce solo su input aziendale, è «una persona che trova il suo equilibrio nello scaricare sugli altri il dolore che non è capace di sentire e le contraddizioni interne che rifiuta di prendere in considerazione»?. (M. F. Hirigoyen). Può essere in tal caso, quasi sicuramente lo è, uno affetto da disturbo narcisistico della personalità, in genere è una persona cinica che vuole imporsi in ogni occasione e non ammette mai di sbagliare. Ha bisogno di apparire, di essere sempre al centro dell’attenzione, nel bene o nel male. Il bisogno di imporsi può diventare un’ossessione e si trasforma in aggressività, in un successivo bisogno di distruggere che, a volte, maschera con il velo di finta disponibilità e vuota caricata cordialità.

Bene, uno così sgamato è già più facile da affrontare e la propria autostima, al confronto, più facile da recuperare.

Due non pensare di dimettersi: è il primo impulso che può presentarsi, per liberarsi dalla fatica di vivere in quella condizione. Ma sì, al diavolo tutto. Risposta sbagliata, signormike. E’ proprio quello lo scopo del mobber, persona fisica o azienda che sia. Costringere, in ultimo, a licenziarsi. Bisogna resistere, ricordando che in caso di dimissioni è difficile una successiva azione risarcitoria.

Tre i mobbizzati sono un esercito, purtroppo: in Italia si calcolano in un milione e mezzo. Anche se ha la tendenza a crederlo, NESSUN MOBBIZZATO E’ UNICO. Questo può consolare e confortare, far prendere coscienza che è un problema enorme, che si avvia a diventare di immensa importanza sociale: dovrà essere risolto!

Quattro organizzarsi e raccogliere documentazione dei torti subiti, capire se c’è un disegno aziendale nelle persecuzioni o se è opera individuale di capi o colleghi: mobbizzare ha dei costi enormi anche per le imprese che scontano le giornate lavorative perse per malattia a causa del mobbing, la perdita di coesione e morale all’interno, risarcimenti per cause civili dei lavoratori, il tempo impiegato dal mobber per fare il suo sporco lavoro. Quindi resistere e annotarsi tutti gli episodi accaduti, con data, protagonisti e colleghi presenti (non è facile che questi ultimi accettino di fare da testimoni, magari il coraggio non rientra nelle loro virtù, ma non è facile, per loro, nemmeno rifiutarsi di farlo se chiamati da un tribunale).

Quinto coinvolgere fin dall’inizio il sindacato aziendale e se del caso quello territoriale di categoria.

Sesto ricordarsi di ciò che ha detto Vittorio Foa, grande uomo di sinistra, circa i tempi difficili che il movimento dei lavoratori ha dovuto affrontare molte volte nella sua storia: si credeva di vivere e patire delle avversità, erano anche delle opportunità.

Settimo chiamare il nostro numero verde sindacale e denunciare tutti gli episodi.

 

 

IV

Nel salone di angolo via Toledo, il calendario indica che Aprile scivola via.

Aprile è il più crudele dei mesi,

genera lillà dalla morta terra,

mescola ricordo e desiderio,

a guardare il calendario ti viene questa reminiscenza di versi di Eliot, ti sembrano indicati se pensi alle telefonate e al fatto che d’ora in poi collegherai questo mese ad esse. Queste telefonate che stillano sofferenza e che ti verrebbe da definire, tanto per restare nella letteratura, fiori del male se un altro poeta non avesse già usato l’espressione. Ma c’è tempo per la poesia? Davvero, questo posto adesso sembra, anche come luogo dello spirito, il meno poetico del mondo: la materialità e l’immanenza dei problemi sono così terrene che portano a pensare solo a lotte aspre e dure, con il concorso di medici e avvocati, per la loro soluzione, ma la buona letteratura non ha mai trascurato la carne e il sangue, e il sociale. O almeno non avrebbe mai dovuto farlo.

Aprile. Questo mese segna anche il primo vero compleanno del gruppo di lavoro. E’ un anno che squillò per la prima volta il numero verde, diavolo, è più di un anno quindi che si lavora qui a Napoli a questo progetto sindacale, questo progetto pratico e politico di spostare in avanti la frontiera della dignità dei lavoratori, affrontando il fenomeno delle persecuzioni e delle sopraffazioni nelle fabbriche e nelle aziende. Fenomeno che invalida il concetto stesso di lavoro, cosi come lo considerava ad esempio Garavini, sindacalista fino al midollo, quando diceva che, nella sua contraddittoria natura aliena ma di potenziale realizzazione più alta dell’essere umano, esso rimane il tratto distintivo della donna e dell’uomo come persone civili, il che è davvero una gran bella definizione, soprattutto con l’aria di essere giusta e valida. Tutto ciò che lorda il senso di un tale concetto va combattuto. Il mobbing è uno dei nemici più subdoli, e adesso dopo un anno, grazie forse anche a noi, un poco più conosciuto di quanto non fosse prima.

«All’inizio eravamo pochi e in solitudine», vengono in mente le parole pronunciate in uno dei nostri convegni, da Antonella P., la nostra segretaria confederale della Cgil che è anche psichiatra, (Naomi Klein pare somigliarle, ma lei è meglio), specialista in sofferenza psicologica quindi: insieme a Massimo V., segretario regionale Fisac, e a Gianni D.L., primo segretario della CGIL della Campania proveniente dalla categoria dei bancari, ha dato il via politico a questa avventura.

E sembra quasi il verso di una poesia.

Adesso sei in pausa e ripensi all’inizio di questa storia, al momento in cui nacque, e ti pare pensare a nome di tutto il gruppo, nella fusione di una specie di intelletto unico, collettivo, e sei di volta in volta, come già finora sei stato, Davide D., o Paolo S., o Giovanni S., Antonio P., Antonio M., Teresa P., vale a dire quelli che subiscono l’impatto dei contatti, delle ineguali voci senza volto che provengono dai buchi neri del telefono.

 

 

V

Antonio M. guardava senza vederlo il mare, da un oblò tutto graffiato dell’aliscafo che da Ischia lo portava a Napoli, alla sede regionale del suo sindacato, verso il finire dell’inverno del millenovecentonovantanove. Il mare del golfo sul finire dell’inverno, se il giorno è sereno e senza vento forte, s’increspa poco e assume un colore grigioazzurro intenso, con vene di metallo scintillanti come cobalto, e t’indurrebbe se d’umore contemplativo e malinconico a perdere gli occhi nelle sue onde incessanti e senza fine. Antonio quasi s’assopiva al ritmo ballonzolante dell’aliscafo semivuoto, con la mente che lo tirava alla partita di calcetto che lo attendeva la sera, appuntamento inderogabile da anni e che, superati i cinquanta, come lui li aveva superati, rappresenta una sfida sempre più emozionante (e sempre più divertente considerate le scarponerie di certi suoi compagni che pure si credevano dei novelli gigirriva). Un’inquietudine persistente gli impediva di assaporare quel momento di pausa quasi onirica, ed era collegata al lavoro, a quella filiale della Banca sull’isola che si stava lasciando alle spalle, e ai suoi colleghi che lo avevano eletto loro rappresentante sindacale per la Cgil. Per quanto fosse una carica di base, lui l’aveva sempre presa molto sul serio. Rappresentare i bisogni dei lavoratori e difenderli da vicino lo trovava ancora maledettamente utile e appagante. Lo trovava «di sinistra», senza compromessi ed altre aggettivazioni. Gli pareva così di continuare un percorso lineare, che richiamava - sia pure su altri livelli, come in altra dimensione: altro spazio altro tempo altra forma - le lotte e le manifestazioni dei sessanta e dei primi settanta che lo avevano visto nei cortei e nelle piazze, tra gli studenti, per quella che era stata la sua piccola parte in quel tentativo grandioso e inane di capovolgere il mondo. Anni lontani, anni persi, virati in seppia o in bianco e nero nei ricordi, come i gol del vero Gigi Riva. Poi, quasi a inverare la canzone di Venditti, era entrato in banca - anche lui, sì, perché no? - ma non l’aveva presa come una sconfitta: la realtà, e quindi la sopravvivenza la vita la famiglia gli altri, ha una sua consistenza di pietra che non si può eludere. Una realtà che bisogna affrontare, aveva sempre pensato, secondo la propria bussola, la propria rotta. E per lui la rotta era una sola: l’impegno. L’impegno politico, sociale e sindacale per una società più giusta e libera, da praticare ogni giorno, senza suggestioni superflue e scorciatoie da quattro soldi. Per questo era entrato nella Cgil, ed era convinto di avere fatto una scelta giusta

Ora cercava di farsi una ragione dell’inquietudine che l’affliggeva. Erano quasi tre mesi, da prima di Natale in pratica, che il clima nella filiale era cambiato. Per dirla tutta era peggiorato da schifo. Da quando avevano messo la selezione passante al centralino e spostato la collega non vedente che rispondeva alle telefonate nello sgabuzzino del fax e della fotocopiatrice. Il direttore aveva evitato di guardarla in faccia (lei comunque non l’avrebbe notato) mentre le diceva: mi dispiace, per il momento non so davvero dove posizionarla (aveva detto proprio così: posizionarla), poi vedremo. Quello sgabuzzino era impraticabile e la signora aveva perso tutti i suoi riferimenti e non sapeva che cosa fare: già dopo due giorni diceva di sentirsi impazzire.

Antonio aveva cercato di parlarne al direttore, brav’uomo fino a quel momento ma tutto preso da un po’ a parlare di conto economico, di produttività, di risorse critiche, di esuberi. Non aveva cavato un ragno dal buco, alla fine quello gli aveva detto fai quello che vuoi, tanto agisco in accordo con la sede centrale, così è anche se non ti va. Bene, anzi male, aveva pensato Antonio, adesso vediamo e aveva fatto ricorso all’armamentario del buon sindacalista: volantino di denuncia e soprattutto richiesta di intervento della Asl e dell’Ispettorato del lavoro. L’intervento avvenne in tempi rapidi una volta tanto, be’ un mese e mezzo non di più (un mese e mezzo di battibecchi e questioni con l’azienda), e la collega aveva avuto una scrivania nel salone, con un po’ di spazio intorno, sicuro, e un telefono nuovo, dai tasti con i puntini rilevati, non proprio un braille ortodosso, ma insomma. La cosa pareva finita lì, non fosse che comunque l’aria era cambiata, la signora ignorata adesso anche dagli altri colleghi diventati tutti improvvisamente taciturni e timorosi e lui stesso oggetto delle attenzioni del direttore e dell’ufficio personale che cominciarono a contargli i minuti di ritardo, le malattie, i minimi errori. Addirittura tre lettere di richiamo in venti giorni. Era disorientato, questo non sembrava un semplice atteggiamento antisindacale (per esempio, che c’entrava la centralinista?), pareva qualcosa di nuovo ma che nome dargli?. Un problema che diventò impellente quando il direttore, in fondo buon diavolo, fu trasferito e il giorno prima di andarsene volle dare un piccolo rinfresco, col bicchiere di carta in mano pieno di spumantino lo chiamò in disparte e gli disse: senza rancore, guarda che non c’era nulla di personale, era un disegno per costringere la cieca - un peso morto- a dimettersi e magari riuscire a licenziare te che hai rotto, scusa, le scatole; adesso te l’ho detto, me ne fotto, io non ero mica d’accordo, ma che vuoi, sulla mia bandiera c’è scritto tengo famiglia, comunque per adesso non ci sono riusciti e quindi credo hanno sospeso la partita, buon per te. Addio.

Ma che diavolo stava succedendo?, si era chiesto Antonio.

 

 

VI

RAPPORTO 148

7 maggio 2000

C. A., età 38, Tribunale di ... Corte d’Appello, 6 anni di servizio, collaboratore cancelleria. Terza media.

Destinato all’ufficio Contabilità, il dirigente superiore, dice, lo prende immediatamente in antipatia. Gli assegna compiti e responsabilità maggiori del dovuto, senza nessuna formazione e preparazione. C. A. si sforza di essere all’altezza ma non regge. Comincia a sbagliare. Il dir. sup., a questo punto, lungo l’arco di quattro anni, non fa che trasferirlo da un ufficio all’altro, senza mai convocarlo per una parola di spiegazione, e diffonde voci circa sua incapacità e scarsa voglia di lavorare. Alla fine lo riassegna al primo ufficio (contab.): la prospettiva atterrisce l’A., che già era in depressione per i continui cambiamenti.

Denuncia ansia incontenibile, insonnia. Visitato da un neurologo, non ha visto miglioramenti e non vi ha fatto ritorno. Assume due tipi di farmaci di cui non sa dire il nome.

La parlata è trascurata. A volte divaga, imbarazzato. La voce è circospetta, sfiduciata, monocorde. Si ravviva solo un poco quando parla dei figli. Sono ancora piccoli, due, un maschio e una femminuccia. La femminuccia è troppo terribile. Io mi innervosisco e urlo. Invece voglio che mi vedono calmo. Che ho tempo per giocare, qualche volta almeno. Non mi faccio una risata da un pezzo, anche mia moglie lo dice. Invece penso a quella dannata contabilità. Mi diceva mio padre di studiare, però io sono stato assunto come collaboratore, non al livello d, e allora quello perché mi fa queste cose? Non è che qualcuno si mette lì ad insegnarmi. Sapete, io volevo fare il pittore, sì, quello dei quadri. Il professore di artistica diceva che «vedevo» bene i colori. Chissà che fine ha fatto. In matematica ero una pena. E quello mi ha rimesso in contabilità, e la cosa mi fa paura. Vorrei un consiglio, perciò vi ho telefonato.

Gli parli per un po', cerchi di essere rassicurante e positivo poi finisci il rapporto.

Interessare sindacato di categoria per intervenire sulle mansioni. Per le condizioni psicofisiche fissare incontro con dottor P., équipe ASL 1.

RAPPORTO 160

11 maggio 2000

G. C., età 46, lavora al Comune di F. (prov. di Napoli), 17 anni di servizio, amministrativa (livello D1). Laureata.

Da tre mesi in malattia per stato depressivo, diretta e finale conseguenza del conflitto con il segretario generale del comune: conflitto ininterrotto dall’ottantanove ad oggi, tranne intervallo di due anni -per assenza del suddetto- in cui le cose al lavoro erano molto migliorate. Causa scatenante del conflitto le «avance» sessuali del segretario, sempre rifiutate. Da qui atteggiamenti arroganti e persecutori (fatti propri anche da altri dirigenti e colleghi), con carriera bloccata, cambi continui di uffici e mansioni, diffusione di maldicenze e pettegolezzi.

Denuncia ansia e dermatite psicogena. Assume Tavor, prescritto da medico generico.

Vorrei che qualcuno immaginasse per un momento questi dieci anni di malessere continuo, e soprattutto quegli occhi che frugavano e le allusioni sessuali quando nessuno ascoltava (la parola mia contro la sua, e s’immagini). Possibile che si debba sopportare tanto? Perché questi non pagano mai? Posso dirle una cosa?: sono sempre stata contenta di essere femmina, non mi è mai passato per la mente che una condizione naturale potesse essere causa di minorità o di infelicità. Adesso mi sento di non avere la stessa importanza, gli stessi diritti di un uomo, lo stesso schifoso potere, vorrei essere neutra, solo aria vorrei essere, stare in pace. Ho cercato di lottare, sì, come dice lei, di interessare il sindacato, i colleghi, le colleghe, non mi credevano mai del tutto, ma esageri, dicevano, e tu fregatene, ma stai cominciando a fissarti, in fondo è un brav’uomo, ma hai scordato che ti ha dato le ferie a Natale dopo che non le aveva date a nessuno, pensa alla salute, prenditi le cure termali. Adesso sono sempre chiusa in casa, in malattia, proprio con la salute rovinata, non ce la faccio nemmeno ad andare da uno psicologo e sa una cosa?: ho il terrore di tornare. Prego, io che non sono credente, prego come una pazza che vada via quell’uomo, che qualche comune sia commissariato come l’altra volta e lui sia chiamato lì per i suoi agganci politici. Quelli sono stati due anni buoni. Poi però è tornato, è tornato.

Riesci, dopo molto tempo, (e non è tempo che prendi alle telefonate in coda? Stamattina avranno trovato sempre occupato. Ecco, questa è un’altra questione di cui parlare, nelle riunioni di gruppo, se dedicare tutto il tempo che occorre a un caso, o prendere veloci le notizie essenziali per rispondere al maggior numero di telefonate, quel che è certo è che tutti vogliono ascolto attenzione cura), a convincerla a prendere un appuntamento con il nostro psicologo. L’argomento buono è stato che così si può cominciare a costituire una base per un’eventuale denuncia e richiesta di risarcimento. Se non comincia qualcuno e non si dà sostegno al sindacato, vincono sempre loro.

RAPPORTO 172

14 maggio 2000

Non vuol dire nome, né età, né anzianità di servizio, impiegato di banca, non vuol dire quale banca. Dice di voler dare solo una testimonianza. Voce piana, rassegnatamente scandalizzata. Racconta.

Sono tornato dopo un distacco alla filiale di provenienza. Ho ritrovato lo stesso direttore. Con lui ho avuto sempre un buon rapporto. C’è, c’era stima, rispetto reciproco. Mi è sempre sembrato una persona onesta, anche se è uno che ha fatto carriera in silenzio, stando attento a non pestare i calli a nessuno, di quelli sopra di lui, intendo. Questo gli è valso la buona carriera e molti benefit perché viene da fuori e non ha cambiato residenza, casa pagata, garage, scuola pagata per i figli per anni. Lui dice che è di sinistra, dice che fa anche volontariato, con i colleghi si preoccupa di sembrare alla mano, anche se spesso ha fatto il forte con i deboli e quel che segue. Ma che vuoi, qua si è tutti essere umani, dove lo peschi uno perfetto? Fra tanti peggiori… Ma veniamo a noi. Quando sono rientrato, ho avuto un colloquio con lui, e mi aspettavo che mi trovasse un ruolo normale, di quello che io so fare (titoli, sa, azioni, fondi, bot cct per intenderci).

Capisco, sono bancario anch’io, volontario per il telefono antimobbing. E?

E quello invece comincia tutto un discorso vago, sfuggente, senza guardarmi negli occhi, sai dovevo capire, i tempi erano duri, c’era gente più giovane che già faceva questo compito, non poteva dirgli fai spazio a un altro, era una lotta continua (ah ah ammiccò come per dire vedi so fare pure il riferimento ai movimenti politici, magari quelli di una volta) con i budget e i risultati economici, c’erano premi consistenti a cui nessuno voleva rinunciare (sottinteso nemmeno lui suppongo). Anche per lui, cosa credevo, erano tempi bui, con il capoarea che premeva per fare risparmio gestito, sapessi quanto era un rompicoglioni quello, a volte non aveva vergogna a dirlo ne veniva perfino strapazzato, ma era giusto in fondo, l’azienda è l’azienda, gli ideali uno poi se li sarebbe coltivati fuori da queste mura. Io aspettavo, non sapevo che cosa dire, capivo solo che tutta quella situazione cominciava ad essere spiacevole, sapete, quella sensazione sotto pelle del tipo ma che sta succedendo, e soprattutto perché sta succedendo proprio a me? Ok, andiamo avanti, io cerco di riportarlo al punto, anche con una certa durezza -vedete non sono proprio un fesso ho la mia personalità-, e quello alla fine fa, testuale: Ma ce l’avrai dei parenti, dei conoscenti proprietari, con qualche miliarduccio, so che non vieni da una famiglia di poveracci, falli venire qui gli facciamo una gestione patrimoniale, poi loro magari si tirano dietro altri, allarghiamo il portafoglio della filiale, mettiamo su un bel po’ di lirette in commissioni e tu puoi stare anche a girarti i pollici, eh? non lo dovrei dire: faccio finta di non vedere, in seguito appena si libera una scrivania te la do, eh? (La voce per un po’ gli manca, poi riesce a concludere). Non c’è bisogno di aggiungere altro, credo.

Non c’è bisogno di aggiungere altro. Fine rapporto.

 

 

VII

Il nostro lavoro comincia ad avere una certa risonanza. E’ evidente che ci inseriamo in un vuoto, che il fenomeno mobbing è estesissimo, sobbolle pronto a esplodere: non lo riempiamo di certo da soli tutto quel vuoto, ma l’iniziativa sindacale deve aprire la strada, deve avere una strategia praticabile, deve cercare il confronto e il concorso di tutti gli attori -aziende, istituzioni, sanità- a partire però dal presupposto che gli atti di violenza psicologica perpetrati durante il lavoro sono sempre inaccettabili, da combattere e prevenire individuandone innanzitutto le cause scatenanti nei fattori interni all’organizzazione del lavoro.

Intanto, la risonanza è davvero notevole. Cominciano ad arrivare telefonate e segnalazioni da molte parti d’Italia, senza distinzioni geografiche. Il tratto comune e minimo di queste chiamate, oltre il dolore diffuso, è il sollievo che qualcosa c’è, che qualcosa comincia a muoversi, che non si è soli del tutto e che il buio inizia a squarciarsi.

La cosa, nel gruppo, ci rende orgogliosi, quasi euforici, non fosse che comunque trattiamo di ingiustizie e sofferenze. Il più fiero sembra Paolo, insieme a Giovanni sempre presente alla scrivania a rispondere o ad archiviare i dati. Si impettisce tutto quando ne parliamo, guadagnando ancora qualche centimetro alla sua altezza e capisci che per lui questo lavoro è veramente importante dal fatto che l’apologia della sua collezione completa di Tex Willer passa in secondo piano nelle chiacchiere delle pause, assieme alla rievocazione eroica delle assemblee di fabbrica a cui il padre operaio metalmeccanico lo portava da bambino, rafforzandone l’inclinazione filosindacale. Adesso, per lui primum: lotta al mobbing!

(Ad ogni modo, Aquila della Notte resta un grande).

 

RAPPORTO 176

15 maggio 2000

Titti S., età 32, esecutore stradale (cantoniere) per Provincia di Milano, S. Giuliano Milanese. Diplomata.

Addetta presso una casa cantoniera, è perseguitata dal caposquadra, probabilmente a causa del rifiuto opposto agli approcci sessuali. Viene isolata, i colleghi prima gentili diventano scostanti e irriguardosi. Richiede trasferimento con avvicinamento a casa (adesso lavora molto lontano). Teme, perché qualcuno glielo ha detto, che il capo di cui sopra boicotti questo avvicinamento.

Questa specie di bavoso (la voce è combattiva, per nulla timida) si dichiarò addirittura innamorato prima di allungare le mani. Io li capisco pure, contrattano una donna, magari non male non decrepita, cominciano ad avere pensieri, magari sono anche in buona fede quando dicono che si sono innamorati, non so, forse ci credono pure quando dicono che abbandonerebbero la famiglia per te (che non te ne frega niente e forse compiangi la moglie), ma perché non accettano il rifiuto? perché non si abituano al fatto che esistono i NO? In ogni caso questo pirla deve avermela giurata quando lo mandai a stendere -alzai anche un po’ la voce-; da allora faccia lunga e turni peggiori lì alla Casa (devono essere quelle case marroni ai cigli delle strade, un po’ scrostate, circondate dall’erba selvatica, con dei numeri grandi grandi come contrassegno, quelle che scorrono veloci ai lati quando viaggi sulle provinciali senza tempo per guardarti intorno) e gli altri che ti sfuggono, da perfetti vigliacchi, perché o sei con lui o contro di lui e hanno paura che si vendichi o che gli neghi qualche favore, tsè. Ora qualcuno è stato così gentile, pensa te come si divertono a mettere zizzania, da dirmi che il pirla ha detto che non avrò mai l’avvicinamento. Ohè, a me serve perché voglio fare un figlio. Non mi devono mettere ostacoli. Lei può dirmi qualcosa, eh, che dice? Come posso difendermi?

Valore di testimonianza. Consigliato di interessare il sindacato territoriale e/o commissione Pari Opportunità, presente alla Provincia di Milano. Fine rapporto.

 

RAPPORTO 184

18 maggio 2000

V. A., età 47, chiama da Cremona, Istituto Bancario (non vuol dire quale), 24 anni di servizio, 3^ area IV livello (impiegato). Diplomato. Raccomanda riservatezza circa il contenuto del suo racconto.

Perseguitato dal direttore della filiale di Locate, ottiene soddisfazione dopo intervento sindacale, ma successivamente trasferito rivive identica situazione.

Accusa pressione alta e ulcere gastriche. In attesa di convocazione per visita medica alla Clinica del Lavoro di Milano (prof. Gilioli).

E’ vero, non sono più un giovincello, però a Olgiate C. facevo bene i titoli, sa, azioni…

Fondi, bot cct, quella roba lì per intenderci..

Esatto. E avevo delle grandi performance. Al punto che ogni volta che se ne presentava l’occasione (incontri di area o corsi, per esempio) tutti si congratulavano con me, addirittura mi portavano come esempio. Grandi soddisfazioni, quindi, ma gratificazioni economiche e di carriera niente. Una volta pensavo fosse solo questione di tempo. A un certo punto dall’Area mi trasferiscono a Locate V. con l’incarico (verbale) di risollevare i risultati di quella filiale che erano molto scarsi. Arrivo, atmosfera gelida (m’immaginavo benissimo i pensieri che agitavano il direttore: e vabbè, arriva Maradona, adesso vediamo). Mi avversa subito, nonostante la buona volontà. Dopo un po’ partono verso il centro rapporti poco buoni per me, motivazione: sbaglio troppo. Uno, due, tre segnalazioni, risultato: mi tolgono dai titoli per farmi fare retrosportello, senza dirmi nulla apertamente. Sono indignato, mi sembra una grande ingiustizia, una persecuzione, interesso subito il sindacato (la Fisac Cgil, per inciso). Si va quasi a una vertenza. L’azienda sostiene che in effetti ho sempre sbagliato molto, dovunque sono stato (disgraziati, e le congratulazioni, e tutti quei salamelecchi?), il sindacato smonta tutti i loro argomenti (ricorda le valutazioni sempre positive, i premi annuali sempre presi eccetera) e la cosa si conclude addirittura con le scuse aziendali epperò con un trasferimento a Cremona, visti i rapporti deteriorati con la direzione. A Cremona dopo un po’ rivivo l’incubo nero: mi danno da fare solo un poco di contabilità, in un ufficetto da niente, buio, affianco alla direzione cosicché sono sempre sotto gli occhi, gran parte della giornata senza niente da fare, senza che nessuno mi parli, o abbia bisogno di me. Vado in crisi, mi sembra di non vedere più i colori, solo il nero, mi prendono le ulcere, i mal di testa, le rabbie interiori, l’incapacità di guardare in faccia mia moglie, come se fosse tutta colpa mia. (C’è una brutta pausa, senza respiro, per la verità già da qualche secondo la voce s’era un po’ incrinata, pare imminente uno scoppio emotivo, ne sopporterai di nuovo il suono liquido di pianto?). (Per fortuna, -o sfortuna? non è bene ogni tanto dare via libera alla propria emotività?-, il lavoratore si trattiene, dopo un interminabile tempo riprende con voce ferma.) Non ho nemmeno il coraggio di avvisare il mio sindacato di questa nuova vecchia situazione. Poi ho saputo di voi su Internet, ho letto anche dei vostri contatti con la Clinica del Lavoro di Milano del professor Gilioli. Delle sue diagnosi di disturbo post traumatico da stress per i mobbizzati. Ho prenotato da loro in day hospital prima ancora di chiamarvi.

V.A. ha fatto già da solo un primo giusto passo. Da parte nostra: contattare presto sindacato aziendale per riattivarlo sul caso. Fine rapporto.

 

RAPPORTO 191

23 maggio 2000

Rosaria C., età 39, Pubblica Amministrazione, 15 anni di anzianità. Impiegata. Diplomata. Chiama dalla Sardegna, Iglesias.

Addetta all’archivio, ne viene rimossa dopo l’informatizzazione dello stesso. Ne mettono a capo un collega maschio, pur avendo lei gli stessi requisiti. Le vengono tolti man mano anche tutti gli altri incarichi. Resta quasi senza far niente e comincia ad essere indicata come «pecora nera» dell’ufficio. Le viene tolto il telefono dalla scrivania. Iniziano fortissimi disturbi fisici (non vuole specificare quali) culminati in una operazione chirurgica (non vuole dire quale). Il medico dell’ospedale è sicuro che i disturbi hanno come causa la situazione di stress lavorativo. Ha scritto in tal senso all’Amministrazione. Nessuna risposta. Nel frattempo si sente sempre peggio psicologicamente. E’ disposta a venire fin qui a Napoli, posto che sull’isola non ha notizie di presidi simili, per un contatto con équipe medica ASL 1.

Il peggio è sentirsi emarginati, come se all’improvviso uno cominciasse, che so, a puzzare, o come se gli fosse cresciuto qualcosa di immondo addosso. L’ingiustizia passi, il mondo ne è pieno, uno si rassegna, in fondo quel cavolo di posto non lo volevo nemmeno, ma quell’impressione è allucinante, mi pare d’essere un alieno, di quelli che lasciano scie schifose, tipo X files. Gli altri, in ufficio, quando sono nei paraggi loro, sembrano indecisi se distogliere lo sguardo o rimanere a fissarmi come un fenomeno da baraccone. Perché? perché a un certo punto sei fuori, sei fuori dal giro, sei fuori dalle telefonate, sei fuori dalle conversazioni, e nessuno ti chiede più se hai visto ieri sera come s’è invecchiata la Carrà o come era bello il film. Si chiedono magari se è vero che stai cominciando a dare i numeri e hanno l’aria di aspettarseli, da un momento all’altro. Certo, lei mi sta dicendo di interessare il sindacato, di conservare tutte le prove, di non scoraggiarmi, ma quando il danno è fatto? quando la salute già s’è minata? Mettiamo che mi diano il posto che mi spetta, o che mi ridiano un carico di lavoro, il telefono e anche il rispetto della gente, ma la parte di benessere irrimediabilmente perduta chi la pagherà?

Esaminare la possibilità di contattare sindacato città della lavoratrice, per suggerire di prestare assistenza legale oltre che medica per eventuale causa risarcimento anche danni biologici. Fine rapporto. (E senti tutta l’inadeguatezza della risposta e degli strumenti anche giuridici attualmente a disposizione, mentre un ritornello di una sola parola ti tormenta la mente: prevenzione.)

 

VIII

Antonio M. era infine arrivato alla sede regionale, dal Beverello attraversando Piazza Municipio, costeggiando il Castello e poi piegando su Toledo, con questa idea di capire e dare un nome a quello che gli era accaduto. Arrivato al terzo piano del numero 8 di Via Diaz, aveva fermato il segretario e finalmente tirato fuori il rospo e socializzato, come usa dire, il problema.

Massimo V., sindacalista figlio di sindacalista, a cui nemmeno i cazzotti presi (e solo in parte restituiti) dai fascisti a piazza San Vitale durante il sessantotto napoletano avevano mai tolto la voglia di lottare per la giustizia sociale (e quindi per la sinistra, diciamocelo) lo aveva guardato pensieroso, poi aveva detto la parola: MOBBING.

Quello che ne sapeva sembrava dare una qualche luce al problema di Antonio e allora cominciarono a studiare la cosa e a fare ricerche, già fin da quel giorno. Continuarono, con rinnovata lena, in quelli successivi e presto furono in grado di stabilire una prima cosa: se ne sapeva ben poco, specialmente in Italia. Pensate che ancora nel novantasette dati di ricerca internazionali sulle vittime di persecuzioni sul posto di lavoro elaborati da International Crime (Victim) Survey non includevano l’Italia, sebbene ci fosse poi un dato (spaventoso: 3,6 per cento, qualcosa come otto nove milioni di lavoratori vittime) relativo all’Europa Occidentale. Tanto per dire, c’erano la Romania, la Mongolia, l’Uganda, la Bolivia e non l’Italia. Naturalmente questo non significava una particolare immunità del nostro paese rispetto al problema, significava solo un ennesimo nostro ritardo (nostro di tutti: istituzioni e società).

Fu utilizzata Internet per giorni alla ricerca di notizie utili: i due scoprirono che la Svezia era molto avanti sul mobbing, era addirittura arrivata a meta, se così si può dire, con una legislazione ad hoc messa a punto addirittura dalla fine degli anni ottanta, che prevede sanzioni per i colpevoli e risarcimenti per le vittime. Anche in Germania erano partiti presto. Il fortissimo Ig Metal, sindacato industriale, aveva fatto accordi con la Confindustria tedesca per commissioni paritetiche in fabbrica allo scopo di monitorare il problema e trovare soluzioni. In Francia erano avanti sulle molestie sessuali ma poco o niente di specifico facevano per il mobbing.

In Italia, ancora meno, come abbiamo detto. A parte la poco lusinghiera assenza nelle statistiche mondiali, trovarono qualche associazione di psicologi e volontari, e di veramente interessante un nome, Harald Ege (non a caso forse, un tedesco, da dieci anni in Italia) presidente di PRIMA, antesignana associazione contro il mobbing, autore di una ricerca, la prima e unica: «I Numeri del Mobbing», 1996 Pitagora editrice. Sul piano operativo e medico si imbatterono nell’attività di Renato Gilioli (autore di «Cattivi Capi Cattivi Colleghi», 1998 Mondadori, un libro su casi esemplari di persecuzioni nelle imprese) che nel suo approccio medico-scientifico ha individuato una specifica patologia connessa al mobbing, disturbo post traumatico da stress, e ne propone la diagnosi e cura nella Clinica del Lavoro a Milano. (Ricordate questi due nomi, Ege e Gilioli, insieme alla Cgil forse riusciranno prima o poi a dire una parola giusta e definitiva sul problema).

Massimo dopo averci pensato a lungo decise di investire qualcosa in un biglietto andata e ritorno Eurostar per Milano e ci mandò Antonio. Lo scopo era prendere contatto con Gilioli e sapere di più della sua esperienza, nel frattempo lui metteva in moto la macchina sindacale con Antonella e Gianni e organizzava i primi incontri con i segretari di base nelle aziende bancarie. Volevano tastare il terreno. Fu come scoperchiare il vaso di Pandora: i sindacalisti a contatto con i lavoratori rendevano evidente tutto un universo di disagi e vessazioni che finora sostanzialmente subivano o combattevano con armi vecchie o improprie, inadeguate: volantini, trattative per far cambiare ufficio, voce grossa con i direttori o i capi del personale, quando non erano costretti a dare ragione alle aziende perché magari i poveri lavoratori vessati cominciavano a dare fuori di matto. In ogni caso niente di sistematico né di strutturato.

La mossa successiva fu quindi inventarsi uno strumento per intervenire. Si pensò a un numero verde, ma su quali linee di intervento?

L’elaborazione sindacale collettiva ne individuò tre: quella sindacale, quella medica e quella legale, pronte ad intrecciarsi tra loro. I contatti furono presto attivati.

All’ASL 1 di Napoli, al Servizio di Igiene Mentale del professor Petrella, la proposta di collaborazione fu accolta con adesione e professionalità, adesso infatti sono attori di primo piano con il dottor Pappone, la dottoressa Nasti e l’assistente sociale Scalabrini impegnati compiutamente nel progetto e poi nell’esame di centinaia di casi, oltre ad aver già elaborato scientificamente i dati di una ricerca sullo stress promossa dalla Fisac nelle imprese bancarie e assicurative della città di Napoli, ricerca che è figlia primogenita del telefono antimobbing.

Alla Camera del Lavoro (CGIL), oltre che dare sostegno politico, toccò tramite Gianni essere destinataria, come è tuttora, dei casi in cui la problematica sindacale fosse preminente e toccò predisporre l’attivazione dei propri legali, sotto la guida del capo dell’ufficio Piervittorio Z., la cui competenza è proverbiale, nei casi in cui si prefigurava la possibilità di intentare cause individuali.

La Fisac ci mise il gruppo, il gruppo di primo intervento e di ascolto, man mano sempre più utile ed esperto, ricco di partecipazione e suggerimenti. Ha raccolto una mole di documentazione notevole che è ormai patrimonio dell’Organizzazione, ha dato impulso alla continuazione di questa esperienza nei momenti in cui il progetto sembrava troppo grande. L’attivismo di Davide D., che è passato nel frattempo a un nuovo lavoro (era in mobilità: la mobilità è mobbing? bella questione), è difficile minimizzarlo, il contributo di Teresa P., quando ha portato i ragazzi dell’Istituto Tecnico Diaz di via Tribunali (Antonietta, Claudio, Rita e Francesco) che guidati dal professor De Rosa hanno informatizzato il lavoro del gruppo con l’elaborazione delle schede di rilevazione (i rapporti) e la loro archiviazione, è stato prezioso. Così come quello dei due ragazzi (Pierluigi M. e Francesco D.L.) che hanno curato il sito della Fisac Campania e l’inserimento della sezione Mobbing al suo interno, una delle più cliccate. E ancora, bisogna dire che la pazienza di Mario e Giuliana, lari e penati della nostra sede, indiretti componenti del gruppo, comincia ad assumere i connotati del mito.

Così,quando in quell’aprile squillò per la prima volta il telefono, ottocentotrentaduecinquantacin quezerozero, fu il gruppo tutto insieme che alzò la cornetta e ascoltò le prime parole che provenivano da un mondo buio di sofferenza e ingiustizia.

 

 

IX

 

RAPPORTO 209

5 giugno 2000

G. M., età 33, Azienda Enel, 5 anni di servizio. Impiegato di concetto (amministrativo). Laureato.

Dotato di due lauree, dopo la fusione di due uffici, si trova ad avere caporeparto che arbitrariamente non gli assegna compiti poiché dichiara di fidarsi esclusivamente dell’altro addetto all’ufficio. Situazione assolutamente frustrante (7 ore su otto senza avere letteralmente niente da fare). Non ha interpellato sindacato perché non iscritto, e perché teme che venga difeso l’altro impiegato che invece è iscritto.

Accusa attacchi di panico, palpitazioni. Medico generico gli ha prescritto ansiolitici che non assume perché preferisce prodotti omeopatici

Be, se lì siete sindacalisti (la voce è timorosa, di uno che si nasconde), non potrete apprezzare la cosa che io non sono iscritto..

E’ assolutamente ininfluente.

Vede, mi è sempre piaciuto stare un pò defilato. Mi piace studiare, non ho molta ambizione, le lauree le ho prese per passione, quello che non capisco è la stronzata di stare sette ore a non fare niente. Il caporeparto crede che io voglia fare carriera, teme il fatto che ho due lauree e lui invece è partito con la terza media -dice sempre che la vera esperienza si fa sul campo, fa sempre battute sull’inutilità degli studi se si hanno due palle così al posto giusto, francamente è una pena, come fargli capire che può continuare tranquillamente a fare il capo, se questo lo soddisfa tanto. Per quanto mi riguarda, mi sento di impazzire, in quelle ore il cervello gira a vuoto, un paio di volte mi sono sorpreso a parlare da solo....

(Riesci a convincerlo in qualche modo ad avvicinarsi al sindacato e gli proponi un colloquio con gli psicologi dell’Asl 1). Fine rapporto.

 

RAPPORTO 215

8 giugno 2000

M. M., età 30, Centro Medico «G.» di Capua, Segretaria centralinista in p.t. (part time) 5 ore al giorno. Diplomata.

Dopo un anno di regolare servizio come segretaria e centralinista, le viene richiesto di svolgere mansioni di pulizia. Al suo rifiuto, viene minacciata di licenziamento, gli spezzano l’orario distribuendolo su due turni, tre ore al mattino, due al pomeriggio. Viene spesso apostrofata in maniera offensiva da capi e titolare. Lo straordinario non le viene retribuito per niente.

Comincia ad accusare coliche addominali violente. Dopo un malessere generale, le viene diagnosticata una labirintite per cui è in cura. Non sa che cosa fare.

Lo shock fu quando si presentarono col secchio e il mocio. Marianna, mi fecero, adesso fai una lavata generale, anche nei cessi, mi raccomando, così risparmiamo la donna delle pulizie, grande, no?. Balbettai qualcosa come ma il centralino, le pratiche, ho le ricette da mettere a posto. Mi piantarono in asso senza una parola. Io non lavai quel giorno, ma le assicuro che la sto pagando cara: le scortesie che ricevo non si contano, le offese personali, i commenti sul mio aspetto e la mia vita privata. A me quel lavoro serve, e mi piaceva anche, ma penso che dovrò andare via, lei sopporterebbe per mesi e mesi un clima del genere?

(No, che non lo sopporterei, pensi)

E quei maledetti turni che ti obbligano a uscire quattro volte al giorno e a correre, prendere autobus, non ce la faccio più. Posso chiedervi di aiutarmi?

Contattare per lei sindacato territoriale per un intervento e per il pagamento degli straordinari. Si propone alla lavoratrice colloquio con dottor P. di Asl 1. Fine rapporto.

 

RAPPORTO 226

14 giugno 2000

G. P., età 34, Fiat di Pomigliano, 12 anni di servizio, impiegato alla progettazione. Laureato.

Già da più anni (3/4) capi e colleghi tentano di dimostrare che è incapace di fare il suo lavoro. Non ha idea sul perché sia cominciata la cosa. Ogni documento o cosa su cui lavora viene messo in discussione, ma non apertamente. Cominciano ad essere messe in giro dicerie sul suo conto, sulla sua salute mentale. Attualmente gli hanno affidato un lavoro da svolgere, ma dopo se ne sono completamente disinteressati. Si sente fortemente depresso. Prende farmaci contro l’insonnia. Finora ha avuto solo un colloquio (insoddisfacente) con uno psicologo.

(Ti accorgi subito che la cosa è piuttosto seria: la voce è atona, ha dei momenti di vuoto nel racconto, è sospettoso, totalmente scettico sul nostro ruolo e intervento. Però ha telefonato. Chiede aiuto. Finchè lo chiede si può fare qualcosa. Sarà un’impresa convincerlo, ma è indispensabile un incontro con l’équipe di Paolo P.)

Non so perché le sto dicendo tutte queste cose. Ormai so che sono condannato a questa vita buia, senza colori. Troppi anni passano senza che vedi qualcosa di positivo di buono di colorato. Fino a qualche mese fa piangevo anche, sa, senza ritegno ma solo se non mi vedeva nessuno, adesso nemmeno quello, perciò riesco a parlarne, cosa crede. Ho quel progetto dell’ufficio da mesi sulla scrivania, nessuno viene a chiedermi nulla, sono un fantasma, ormai lo so,sono quello che ha problemi, io li sento quando parlano di me, li sento anche con la mente, il «pazzo» dicono, quello che ha grooossi problemi e si mettono un dito alla tempia e qualcuno scommette su quanto tempo ancora durerò prima di..., ma io li sento distanti, lontani, io stesso mi sento lontano, piccolo piccolo come visto da un cannocchiale all’incontrario. Mi allontano, mi allontano, quando sarò lontano e piccolo piccolo, piccolo abbastanza come un atomo o un elettrone starò bene.

Sei colpito, quasi annichilito da quest’ultimo ascolto. Ti figuri quest’uomo come un grido senza suono, come il quadro di Munch, silenziosamente assordante.

 

 

X

Vedete, si potrebbe ancora continuare con i casi specifici. Le telefonate, le lettere, le email continuano ad arrivare e ci sarebbe materiale per altri resoconti come questo. Vedremo se è il caso di farli. Al di là di statistiche, cifre e risultati del nostro lavoro, che troverete su altri tipi di pubblicazioni, al di là delle illuminanti conclusioni medico-scientifiche del dottor Paolo Pappone che invece troverete allegate qui alla fine, adesso ci premeva dare l’idea di una esperienza dal lato di chi l’ha vissuta sul campo. Un’esperienza che non può essere fine a se stessa, che deve continuare in un ambito che veda impegnate tutte le componenti della società. Noi, per dirla ancora con Antonella e Massimo, abbiamo avuto la forza di indagare sul fenomeno mobbing, raggiungendo un primo obiettivo di formare e informare dando dignità teorica all’argomento. Adesso bisogna essere capaci di passare da un concetto di riparazione del danno sul luogo di lavoro alla prevenzione dello stesso, cercando di allargare le competenze e i ruoli dei soggetti in campo sul versante del lavoro (vedi anche la figura del delegato sociale). La scommessa è alta: puntare a produrre qualità della vita.

Questo è un proposito chiaro. Attualmente la situazione generale sul mobbing è la seguente. Quadro legislativo zero. C’erano (e ci sono ancora) delle proposte di legge dell’Ulivo, firmate da Pelella Tapparo, Benvenuto, una, del tutto inadeguata, del centrodestra. Quadro sindacale in evoluzione: nei contratti nazionali e territoriali cominciano a comparire degli articoli che prendono atto del problema e in cui vi sono citati i delegati sociali, in quelli integrativi c’è qualche riferimento più esplicito ma senza ancora strumenti effettivi di intervento. Una cosa è chiara: leggi e contratti per inverarsi hanno bisogno di contesti sociali favorevoli. E’ evidente che i valori e la cultura dominante di un paese in un determinato periodo incidono con forza nella possibilità che si sentano come necessari provvedimenti che affrontano la soluzione di un problema. L'abitudine a rapporti conflittuali sul lavoro, il carrierismo e il conformismo, il clientelismo, il mito confindustriale della competitività e della flessibilità senza regole, una marcata incultura del lavoro sono al contrario disvalori ancora assai diffusi in Italia e condizionano l’approdo all’instaurazione di regole di civiltà condivise, anche rispetto al mobbing. Quante persone conoscete, per esempio, che di fronte a qualcuno che si lamenta di persecuzioni sul lavoro non sottovaluti la cosa, magari esprimendo irrisione o fastidio, e concluda che il malcapitato è un fissato o un lavativo o che è giusto che l’azienda operi una specie di selezione dei migliori anche in quel modo? (con ogni probabilità quest’ultima è anche l’inconfessata opinione delle stesse aziende).

Un intervento legislativo, in Italia, è da auspicare perché sancirebbe una volta per tutte la condanna sociale, la pericolosità e la riprovazione dei comportamenti di vessazione psicologica, ma non può bastare anche perché i tempi delle leggi (e delle maggioranze) sono lunghi (pensate che alcuni di quei progetti di legge sopra richiamati hanno già cinque anni).

Nel frattempo, siccome come ricorda Giorgio Ruffolo è da tempo che abbiamo smesso di credere che la storia covi un progetto, o che almeno lo covi in senso progressista, (al contrario sembra sempre più sconcertante il fatto che gli avvenimenti umani portino ad arretramenti e sciagure, vedi la guerra attualmente in corso sulla quale si resta sgomenti), il Sindacato deve fare la sua parte e usare gli strumenti che ci sono.

L’articolo 2087 del codice civile, l’impianto generale del decreto legislativo 626/94 stabiliscono che il datore di lavoro deve adattare il lavoro all’uomo e non viceversa, deve valutare i rischi per la salute e la sicurezza e adottare misure di prevenzione efficaci, assieme ai lavoratori e ai loro rappresentanti per la sicurezza e utilizzando il servizio di Prevenzione e il medico competente.

Sembra chiaro, quindi, che il sindacato in azienda può fare molto, anche in relazione a fenomeni di mobbing, utilizzando spazi, regole e poteri contrattuali e legislativi. Così come quello territoriale che può premere sulle istituzioni affinché sia garantito il diritto costituzionale alla salute (articolo 41 della costituzione, secondo comma), tramite la promozione di servizi sanitari capaci di rispondere ai bisogni di salute che vengono fuori dai posti di lavoro.

Insomma in attesa dell’allargamento degli spazi di civiltà, in attesa di migliorare i contratti di lavoro e la società ognuno deve fare la sua parte. E bene.

Qualche tempo fa su un mensile liberal fu lanciata questa questione, se il sindacato dovesse essere attore di giustizia o regolatore di equità. Bene, la risposta probabilmente è che il Sindacato, e la CGIL in particolare, debba tendere ad essere attore di giustizia e regolatore di equità, per non entrare, come ha detto Sergio Cofferati, nel futuro con la testa girata all’indietro.

cdb

Napoli settembre 2001

 

 

INDAGINE SULLO STRESS PROMOSSA DAL GRUPPO DI LAVORO ANTIMOBBING DELLA FISAC CGIL DI NAPOLI E DALL’ASL 1 DI NAPOLI

L’indagine svolta ha messo in evidenza una correlazione significativa tra fattori di organizzazione del lavoro e stato di salute psichica dei lavoratori.

Nell’epoca attuale stiamo assistendo ad un cambiamento epocale nell’organizzazione del lavoro, in particolare per quello che riguarda i "colletti bianchi".

Ritmi di lavoro, definizione del prodotto, automazione, suddivisione gerarchica, mobilità, autonomia operativa, incentivi, flessibilità, interazioni nel lavoro di gruppo, telelavoro: sta cambiando radicalmente il panorama e l’"atmosfera" nei luoghi di lavoro, e tutto questo incide profondamente sulla soddisfazione, la tranquillità, lo stress che si prova sul luogo di lavoro.

Di questo panorama fa parte quella particolare patologia delle relazioni di gruppo che viene indicata con la parola mobbing: Negli ultimi anni il termine mobbing ha trovato più popolarità del previsto, diventando il termine che in generale indica tutte le condizione di disagio e di sofferenza sul luogo di lavoro.

La clinica psichiatrica ha registrato l’incremento, nel corso dell’ultimo decennio, delle patologie psichiatriche cosiddette "minori": la depressione nevrotica, la distimia, il disturbo da panico, sono in aumento e diventano, accanto alla grave patologia psicotica, una parte sempre più rilevante del lavoro di assistenza psichiatrica sul territorio. Si può a ragione ritenere che non solo la patologia da mobbing, ma anche il disagio lavorativo sono destinati a crescere nei prossimi anni, in parallelo con i cambiamenti nell’organizzazione del lavoro.

L’indagine svolta dalla FISAC Campania, in collaborazione con L’Ambulatorio Specializzato per i Disturbi Depressivi dell’ASL NA1 si è prefissa lo scopo di indagare con un metodo quantitativo lo stato psichico dei lavoratori bancari e coglierne la relazione con i fattori di organizzazione del lavoro, così come sono vissuti dai lavoratori.

Alla elaborazione dei risultati hanno fatto seguito momenti di discussione e formazione con i rappresentati dei lavoratori che hanno partecipato all’indagine.

Il risultato è di grande rilievo scientifico (in Italia non sono stati ancora condotti studi così accurati e su un così grande numero di persone): emergono chiare e documentate indicazioni sui fattori dell’organizzazione del lavoro maggiormente incisivi sullo stato di salute dei lavoratori e sulle misure di prevenzione che è possibile adottare.

Dal lavoro svolto nel corso di un anno si sono ottenuti due ordini di risultati:

il primo e più importante è stato quello di stimolare tra i lavoratori la consapevolezza del problema organizzazione del lavoro: troppo spesso la sofferenza psichica viene vissuta come un problema individuale, una incapacità a reggere le difficoltà della vita. Questo atteggiamento, oltre ad impedire una ricerca operativa di soluzioni possibili, aggrava la sofferenza stessa, diventando un fattore di sviluppo di patologie croniche.

La possibilità di individuare fattori di rischio psicologico comuni all’ambiente di lavoro o a gruppi omogenei di lavoratori, consente di spostare la ricerca della soluzione dal piano individuale a quello collettivo.

L’analisi collettiva dei risultati condotta dai lavoratori ha consentito di acquisire elementi di conoscenza della realtà lavorativa, anche attraverso il confronto delle differenza riscontrate nei diversi istituti bancari.

Il questionario, in questo caso è stato solo uno strumento: uno specchio attraverso il quale i lavoratori hanno potuto percepire il proprio disagio ed individuarne le cause ambientali

Il secondo risultato è stato quello di dimostrare la validità di uno strumento di indagine che, partendo dalla soggettività del lavoratore, attraverso l’analisi statistica consente di arrivare a definizioni quantitative ed analitiche, documentate.

L’esperienza condotta ha degli ovvi limiti nello spirito pionieristico che la ha animata, ma getta le basi per un affinamento delle tecniche e degli strumenti di indagine, per arrivare a sviluppare strumenti di monitoraggio continuo della salubrità psichica degli ambienti di lavoro.

 

L’indagine condotta con i lavoratori del settore bancario-assicurativo

Lo studio osservazionale condotto nel 2000 dalla FISAC con il supporto tecnico dell’Ambulatorio Specializzato per i Disturbi da Disadattamento Lavorativo dell’ ASL NA1, ha interessato un gruppo di Aziende campane impegnate nel campo assicurativo e bancario..

La fase di rilevazione si è svolta in un lasso di tempo di circa due mesi (luglio-settembre 2000), facendo compilare a una popolazione di 745 lavoratori un questionario auto-somministrato

La costruzione dello studio è basata sulla somministrazione simultanea di tre strumenti di valutazione che valutano per ciascuna soggetto la gravità dei fattori di stress nell’ambiente lavorativo da una parte, e l’intensità di sintomi di sofferenza psichica dall’altra.

La scala di valutazione dello stress lavorativo è una versione ridotta del questionario sullo stress da lavoro adottato dall’Istituto di Medicina del Lavoro dell’Università di Milano: con essa si valutano indipendentemente i seguenti fattori di organizzazione e di salubrità dell’ambiente lavorativo:

a) Possibilità di controllo

b) Relazioni sociali

c) Esigenze di lavoro

d) Sovraccarico quantitativo e distribuzione del lavoro

e) Pressione lavorativa

f) Vincoli

g) Stima

h) Supervisione

i) Chiarezza dei ruoli nel lavoro

j) Soddisfazione nel lavoro e nella vita

I punteggi registrati nelle risposte a ciascuno di questi fattori esprimono il grado di "sofferenza" nello specifico settore, così come è valutato dal lavoratore .

L’intensità dei sintomi di sofferenza psichica è stata misurata con due scale

La scala di ZUNG misura la presenza e l’intensità dei sintomi depressivi

La scala R.F.L. (Reasons for Living Inventory)misura le motivazioni a vivere dell’intervistato.

 

Analisi risultati del questionario di ZUNG

I punteggi del questionario di Zung misurano la presenza e l’intensità di sintomi d’ansia e depressione: i valori bassi corrispondono ad una condizione di benessere, quelli alti a condizioni di ansia e depressione di gravità crescente.

La suddivisione in classi adottata da noi ricalca le corrispondenze osservate dall’autore del questionario tra punteggi e classi diagnostiche.

Lo schema di interpretazione dei punteggi dello Zung è il seguente:

1. 0-30 benessere;

2. 31-40 disturbi situazionali transitori;

3. 41-50 disturbi d’ansia;

4. 51-60 disturbi depressivi ;

5. 61-80 disturbi depressivi gravi.

Analizzando il grafico delle frequenze, si nota che il benessere è presente in una percentuale media del 22-23%, più alta nell’età giovanile (26%circa) e più bassa nella fascia anziana (17,5% circa).

Riguardo ai disturbi situazionali transitori, la media è intorno al 45%,con un leggero aggravio nella fascia più anziana.

I disturbi d’ansia riguardano il 25% della popolazione in esame con un range che va dal 20 % (fascia giovanile) al 30% (fascia anziana)

I disturbi depressivi riguardano il 6% della popolazione in esame in modo piuttosto omogeneo dai 31 ai 65 anni.

I disturbi depressivi seri sono più rari e presenti prevalentemente nell’ultima fascia d’età.

 

Analisi dei risultati del R.F.L. INVENTORY

Questa scala misura le motivazioni a vivere (reasons for living): i punteggi alti corrispondono ad una condizione clinica di benessere e propositività, mentre i punteggi bassi corrispondono alla presenza di ideazione suicidaria di gravità crescente..

La scala dei punteggi è stata suddivisa nelle seguenti cinque classi:

1. 24-50 ideazione suicidaria grave;

2. 51-80 ideazione suicidarla seria;

3. 81-100 ideazione suicidarla sporadica;

4. 101-120 condizione benessere I;

5. 121-144 condizione benessere II.

Dalla disamina dell’incrocio della scala con la popolazione disaggregata per fasce d’età, si evince che relativamente ai casi di ideazione suicidaria grave (punteggio 24-50) la percentuale è molto bassa (1,6%).

Riguardo all’ideazione suicidarla seria (punteggio 51-80) la frequenza maggiore si verifica da 31 a 65anni con una percentuale che va dal 3,6% al 4,7%.

Per l’ideazione suicidarla sporadica (punteggio 81-100) la percentuale maggiore si verifica nelle fasce d’età che va da 31 a 65anni, con un range che va dall’11 % al 23,5%; il fenomeno è più accentuato nella fascia d’età 51-65anni (23,5%).

Le condizioni di benessere riguardano le ultime due fasce di punteggi ed è particolarmente sentita nella fascia giovanile (18-30anni) dove si verifica l’81,3% di benessere, mentre nella fascia più anziana (51-65 anni) questa scende al 20%circa.

La misurazione dello stato di salute

Dall‘analisi delle due scale possiamo trarre le prime conclusioni rispetto alla popolazione bersaglio in esame.

Lo stato di benessere è molto evidente nei giovani (81%) e gradualmente decresce fino al 20% nella popolazione più anziana.

L’ideazione suicidarla seria, al momento, non è un grosso problema, mantenendosi all’incirca intorno al 4% della popolazione oggetto di studio.

Verificandosi però una depressione di un certo rilievo in circa il 6% della popolazione, in modo omogeneo dai 31 ai 65 anni, probabilmente sono da ricercare proprio in queste due tendenze i motivi di un malessere che potenzialmente potrebbe aumentare il grado di depressione o la gravità dell’ideazione suicidaria.

 

La correlazione tra fattori di stress e stato clinico

L’utilizzo dei tre strumenti di valutazione è servito, non solo a misurare indipendentemente il grado di stress sul lavoro e la condizione di salute psichica dei lavoratori, ma anche e soprattutto a valutare se c’è una relazione di causa-effetto tra stress da lavoro e patologia psichica. Questa relazione è stata misurata con un test statistico che si chiama coefficiente di correlazione:

Le domande del questionario sullo stress da lavoro sono organizzate in gruppi che indagano diversi fattori di stress:

a) Possibilità di controllo

b) Relazioni sociali

c) Esigenze di lavoro

d) Sovraccarico quantitativo e distribuzione del lavoro

e) Pressione lavorativa

f) Vincoli

g) Stima

h) Supervisione

i) Chiarezza dei ruoli nel lavoro

j) Soddisfazione nel lavoro e nella vita

 

Di ognuno di questi fattori è stata valutata, applicando il test di Pearson, la correlazione con i valori riportati nelle scale cliniche (la scala della Depressione di Zung e il Reasons for Living Inventory).

E’ stata riscontrata una correlazione statisticamente significativa tra i fattori a), b), c), d), g), h), i), e J) e i valori di sofferenza psichica riportati nel questionario di Zung.

Questi fattori dell’organizzazione del lavoro hanno dunque una probabile influenza significativa sulle condizioni di salute del lavoratore.

 

Utilità del risultato, sviluppo e applicazioni future

Il lavoro svolto documenta l’ipotesi del legame causale tra lo stress da lavoro e lo stato di sofferenza psichica: tali dimostrazioni sono necessarie per documentare il nesso di causalità tra fattori ambientali e danno biopsichico.

Ulteriori indagini potranno rinforzare l’ipotesi e fornire dati più analitici

La valutazione con questionari è un metodo di analisi dell’ambiente di lavoro già in uso in altri paesi. La ripetizione dell’indagine nel corso del tempo può permettere di monitorare l’ambiente di lavoro dal punto di vista della salubrità psichica; è importante a tal fine sviluppare un metodo di indagine standardizzato di cui sia nota sensibilità e specificità.

Il metodo del questionario può essere adottato anche per individuare precocemente soggetti a rischio di depressione o di suicidio e intervenire tempestivamente sul soggetto e sull’ambiente, in collaborazione con i medici competenti previsti dalla L.626

 

Commento:

risultati del questionario sullo stress da lavoro (p. 1)

il grafico e la tabella riportano i risultati sintetici del questionario.

Per ogni lavoratore è stata calcolata la media dei punteggi per il gruppo di domande che esplorava un fattore di disagio: i risultati sono poi stati raggruppati in quattro classi (disagio nullo, basso, medio e alto), e per ogni gruppo è stata calcolata la frequenza (cioè il numero di soggetti che hanno riportato un punteggio corrispondente a quella classe).

Questi dati descrivono l’importanza dei singoli fattori di stress nella organizzazione dell’ambiente di lavoro di cui fanno parte i soggetti che hanno compilato il questionario.

Il grafico seguente, per rendere più immediata la comprensione del risultato, sintetizza un valore unico di disagio per ogni fattore di stress. Ci permette così di definire un profilo di azienda e confrontare i profili delle diverse aziende o gruppi di lavoratori.