Il ruolo del management e del sindacato

Se c’è una cosa che l’attuale crisi ci sta insegnando è che quasi tutte le certezze che ci hanno caratterizzato fino all’anno scorso non valgono più.

In campo economico la dottrina che si è rivelata più disastrosamente falsa è quella della “creazione di valore per l’azionista”. Secondo tale teoria la massimizzazione dell’efficienza aziendale attraverso il taglio dei costi non solo avrebbe remunerato al meglio il capitale (gli azionisti), ma avrebbe anche premiato i clienti migliorando l’offerta e riducendo i costi e perfino i lavoratori perché se da un lato avrebbe distrutto lavoro inefficiente, dall’altro avrebbe liberato risorse per la creazione di lavoro “utile” e sicuro in misura maggiore di quello distrutto. Purtroppo il concreto risultato di questa dottrina è stato: la creazione di cartelli oligopolistici che hanno penalizzato i clienti, la sovraremunerazione del capitale mediante operazioni di ingegneria finanziaria, la sottrazione di risorse a una platea sempre più ampia e infine la compensazione della contrazione dei consumi che ne è derivata con incentivi a indebitamenti progressivamente insostenibili fino all’esplosione del sistema. Risultato: in pochi mesi si è cancellato il 65% del valore delle borse. Tale valore era evidentemente “falso” e sganciato dall’economia reale, ma le ripercussioni di tale crack finanziario l’economia reale la stanno devastando e come.

I portabandiera, i teorici e gli attori dell’applicazione selvaggia di questa teoria sono i supermanager che coerentemente hanno improntato le aziende non a una crescita misurata dalla solidità produttiva, dall’investimento in ricerca e sviluppo, dal consolidamento del rapporto con la clientela mediante l’offerta di prodotti e/o servizi realmente appetibili in un regime di vera concorrenza, ma dall’andamento trimestrale del ROE. D’altronde i supermanager sono l’unica vera casta autoreferenziale esistente, che dovendo rispondere (teoricamente) a una massa molto articolata di azionisti di fatto non risponde a nessuno e governa in splendida solitudine. I risultati sono appunto quelli di cui sopra, ma sono anche l’attuale crollo verticale del rapporto fiduciario tra gli attori economici in gioco: la dirigenza da un lato della barricata e dall’altro i lavoratori e il mercato (quello vero che acquista beni e servizi).

In azienda la democrazia non esiste e storicamente tutte le gestioni “dal basso” si sono rivelate peggiori di quelle dirigiste, ma è altrettanto vero che nessuna gestione dirigista può prescindere dalla creazione e gestione del consenso. La grande sfida che l’attuale crisi ci pone è anche questa: come ricostruire un rapporto fiduciario e di consenso tra vertici e lavoratori nelle aziende che solo può portarci fuori dal pantano in cui siamo finiti.

Questa sfida ovviamente riguarda il management, ma riguarda anche il sindacato, in particolar modo in un’azienda come la nostra.

In Intesa SanPaolo il lavoro sindacale degli ultimi due anni ha prodotto risultati soddisfacenti dal punto di vista contrattuale, molto meno dal punto di vista gestionale e quasi nulli rispetto al controllo dei processi produttivi. Questo perché, ovviamente e giustamente, la priorità era quella di definire le regole comuni di una nuova azienda che nasceva dall’unione (per incorporazione, e non è irrilevante) di tradizioni contrattuali molto articolate e spesso divergenti. Senza regole definite e comuni gestione e controllo sono un (falso) mito. Tuttavia, specularmente, gestione e controllo non scaturiscono naturalmente dalle regole, ma devono essere realizzate con concrete azioni quotidiane.

Rispetto alla gestione questo è tanto più vero in un’azienda il cui management in più occasioni è sembrato sordo alla sfida del consenso. Un management che ha la tendenza a dimostrarsi particolarmente aggressivo nelle sue forme di comunicazione, inutilmente minaccioso nelle circolari, assurdamente autoritario nelle decisioni a cui non è vincolato da leggi o accordi formali. La recente vicenda della moltiplicazione dei tassi, ne è testimonianza. Tuttavia proprio lo sviluppo di questa vicenda, a partire dalla reazione sindacale e dalla conseguente disponibilità aziendale a un ripensamento (dichiarazione dell'azienda durante l'incontro sindacale del 19 giugno) è un fenomeno interessante. Voglio chiarire che personalmente non sono mai stato scandalizzato dal puro merito della vicenda. Un tasso dell’1% per finanziamenti svincolati da ogni documentazione è stato frutto di una valutazione probabilmente errata e doveva essere rimesso in discussione mediante un confronto tra le parti. Quello che invece da subito è sembrato inaccettabile è il metodo con cui la decisione è stata presa e comunicata. Un metodo autoritario che ricorda il prelievo forzoso e notturno dai conti correnti che Amato decise alcuni anni fa e che certo non ha giovato alla costruzione del suo personale consenso, né a quello della sua parte politica e più in generale al rapporto degli italiani con la tassazione. Un metodo che in Intesa SanPaolo da una lato ha delegittimato il ruolo della contrattazione sindacale (è vero che quello sui finanziamenti non è formalmente un accordo, ma è altrettanto vero che le condizioni applicate ai dipendenti si inseriscono strutturalmente e inscindibilmente nel corpus delle materie condivise tra azienda e sindacato) e dall'altro ha scavato un profondo solco nel rapporto fiduciario tra colleghi e azienda. La decisione di riformulare una nuova modalità di finanziamento dopo un confronto con il sindacato è un segnale importante, così come la disponibilità a rivedere le relazioni sindacali a partire da quelle a livello decentratro. Per il momento siamo ancora solo nella fase delle dichiarazioni: quello che farà veramente la differenza saranno gli atti concreti. Li aspettiamo al più presto e li valeturemo nel merito e nel metodo, come al solito. In ogni caso il management sa che come sindacato ci opporremo duramente a ogni tentativo di instaurare una conduzione aziendale che prescinda dal consenso. Con questo dovrà comunque fare i conti chiunque sia alla guida dell'azienda.

Rispetto poi al controllo dei processi produttivi, lavoreremo anche per riassumerci questo nostro compito fondamentale. Se a livello globale il management ha fallito è appunto perché accecato dal mito del ROE trimestrale non vedeva il depauperamento del valore materiale e di conoscenza (il cosiddetto valore intrinseco, che è cosa ben diversa dal valore di borsa) delle aziende che guidava. Intesa SanPaolo non è certo immune da questo processo e parecchie scelte organizzative lo stanno dimostrando. Il nostro compito è e continua ad essere la tutela dei colleghi dalle ricadute, ma non possiamo più esimerci dal denunciare le storture che rileviamo.

In questo numero del Tasso Giacomo Sturniolo affronta i problemi organizzativi derivanti dalla nuovo modello di Area / Direzione regionale. Prossimamente esamineremo i rischi dei processi di accentramento dei Back Office e del progetto di smantellamento di uno dei poli di eccellenza della banca: i Domus.

Insieme, senza slogan e battaglie di retroguardia, ma con un duro e diffuso lavoro quotidiano cercheremo di invertire la rotta. E I fatti più recenti ci dicono che questo è possibile.

Paolo Barrera

[Per commenti all'articolo: tasso@fisac.net]

Paolo Barrera
Autore di questo articolo, già nella Segreteria di Coordinamento
della FISAC SanPaolo,
è attualmente coordinatore dell'Area Torino, Piemonte Nord, Valle d'Aosta.
Per contattarlo:

barrera@fisac.net

Baby manager di Bruno Ottavi

"I supermanager sono l’unica vera casta autoreferenziale esistente, che, dovendo rispondere (teoricamente) a una massa molto articolata di azionisti, di fatto non risponde a nessuno e governa in splendida solitudine"

 

"Il compito del sindacato, oltre alla tutela dei colleghi dalle ricadute dei cambiamenti organizzativi, deve prevedere la denuncia delle storture che ne derivano"

Tasso - ver.3.0 n.01 - giugno 2009 - FISAC/CGIL Intesa SanPaolo Liguria Piemonte Val d'Aosta - archivio - credits