Dalla disorganizzazione
aziendale al ruolo delle persone
Nello scorso numero del Tasso, prendendo
spunto da un fatto grave ma tutto sommato circoscritto (l’incremento
unilaterale dei tassi dei finanziamenti personali, poi rinegoziato a
seguito dell’intervento sindacale), avevamo iniziato un ragionamento
sulle nuove responsabilità che l’attuale crisi impone al management
(necessità di ricostruire il consenso) e al sindacato (necessità di
riappropriarsi della capacità di intervento sui processi
produttivi).
Coerentemente con questa enunciazione, la FISAC dell’Area To, PN e
VdA ha iniziato una fitta campagna di comunicazione sulla normativa
e sui regolamenti aziendali:
Lo scopo di tutti questi comunicati e
manuali era (ed è) duplice.
Abbiamo voluto pungolare l’azienda affinché correggesse l’attuale
sistema di norme e di reperimento delle stesse (che si
contraddistingue per la sua clamorosa inefficienza) e
contemporaneamente aiutare i colleghi a districarvisi. Su questi
temi abbiamo ottenuto confortanti risultati concreti. L’azienda ha
avviato alcune iniziative che vanno nella direzione auspicata (è
stato avviato un progetto semplificazione illustrato anche
nell’ultimo numero della rivista aziendale “Mosaico”, e sono state
predisposte alcune circolari di sistematizzazione della normativa) e
i colleghi hanno apprezzato la snellezza e completezza dei nostri
manuali. Tuttavia la strada da fare è ancora lunga: ad esempio la
predisposizione di un sistema aziendale di ricerca della normativa
che sia efficiente e razionale sembra ancora di là da venire.
In ogni caso, anche se questo è un problema, non è certamente il più
grave.
Nella faticosa ricerca delle fonti normative e nel tentativo di
sistematizzarle all’interno dei nostri manuali, abbiamo avuto
l’occasione di riflettere su alcuni aspetti ancor più inquietanti
dell’attuale disorganizzazione aziendale. La gestione della
normativa antiriciclaggio con il rilascio di manuali di oltre 200
pagine, senza l’automazione di procedure “bloccanti” rispetto agli
obblighi di legge, e in assenza di formazione dedicata in aula è uno
dei più eclatanti, ma tutt’altro che isolati esempi di una filosofia
manageriale che invece di ricostruire il consenso e il rapporto
fiduciario con i dipendenti, lo distrugge. Questo atteggiamento che
prima richiama e poi abbandona il dipendente alle proprie
responsabilità (anche molto gravi, data la specificità del nostro
lavoro), che privilegia la formazione motivazionale e commerciale
rispetto a quella più propriamente professionale, che evoca obblighi
senza fornire strumenti quali implicazioni determina? E’ molto
probabile che questa sia una delle manifestazioni
dell’irresponsabilità sociale che, al di là di standardizzati e
spesso vuoti e contestualmente punitivi codici etici, affligge le
moderne imprese, la nostra tra le altre.
Ormai molti studiosi iniziano a interrogarsi sul sistema di "valori"
delle moderne aziende e sulle preoccupanti implicazioni che ne
derivano. L’attuale modello manageriale sembra alterare la già
discutibile equazione tra il benessere personale e il successo
professionale che la precedente congiuntura (fittiziamente)
espansiva aveva contribuito a stabilire. Nell’attuale situazione di
crisi, questa equazione viene appunto distorta e diventa grottesca
caricatura di sé. Le aziende continuano a evocare la creatività,
l’autonomia e la responsabilità dei propri dipendenti, ma
contemporaneamente definiscono obiettivi completamente svincolati
dal parere e dall’esperienza dei loro “creativi” e “autonomi”
collaboratori. Anzi vengono moltiplicate analisi dell’operatività,
valutazioni del rendimento, scadenze da rispettare, mentre errori,
stanchezza, sviste non solo diventano “inaccettabili” oggetti di
sanzioni, ma in definitiva segnano persino la misura
dell’inadeguatezza personale di chi vi incappa.
Personalmente non credo che Intesa SanPaolo sia peggio di altre
imprese da questo punto di vista. Anzi in qualche modo il fatto che
l’attuale crisi non abbia (ancora?) colpito il credito così
pesantemente come altri settori ha lasciato un po’ più di margine
alla nostra compagine. Anche la presenza di un Sindacato che, pur
con molte difficoltà e contraddizioni, ha mantenuto un ruolo
autorevole di negoziazione collettiva e forte di tutela individuale,
ha determinato una condizione di qualità lavorativa meno peggiore
che altrove. Tuttavia il meno peggio non è certo qualcosa che possa
accontentare i lavoratori e chi, come la FISAC, ha l’ambizione di
rappresentarli in tutte le loro esigenze e aspettative. Forti di
questa consapevolezza continueremo a intensificare i nostri sforzi e
il nostro impegno per (ri)conquistare condizioni di lavoro che
mettano la persona e non la “risorsa umana” al centro delle
politiche aziendali.
Paolo Barrera
Autore di questo articolo, già nella Segreteria di Coordinamento
della FISAC SanPaolo,
è attualmente coordinatore dell'Area Torino, Piemonte Nord, Valle
d'Aosta.
Per contattarlo:
barrera@fisac.net
"Le aziende continuano
a evocare la creatività, l’autonomia e la responsabilità dei propri
dipendenti, ma contemporaneamente definiscono obiettivi completamente
svincolati dal parere e dall’esperienza dei loro “creativi” e “autonomi”
collaboratori"
"Ormai
molti studiosi iniziano a interrogarsi sul sistema di "valori" delle
moderne aziende e sulle preoccupanti implicazioni che ne derivano.
L’attuale modello manageriale sembra alterare la già discutibile
equazione tra il benessere personale e il successo professionale che la
precedente congiuntura (fittiziamente) espansiva aveva contribuito a
stabilire."