Centro sinistra e primarie

Nella scelta delle classi dirigenti la soluzione ideale sarebbe sempre quella di basarsi sul merito e sulla capacità di esprimere le idee che raccolgono il consenso della maggioranza. Questo ideale deve poi fare i conti con tutta una serie di condizionamenti che a volte non fanno emergere necessariamente il candidato (o i candidati) migliori.

Sulla scia di quanto accade principalmente per l'elezione del presidente della Repubblica negli Stati Uniti d'America, la coalizione di centro-sinistra e il Partito Democratico (non interessa in questa sede stabilire chi ha il diritto di “primogenitura”) hanno deciso di adottare il metodo delle primarie. Per la verità c'è molta differenza tra quanto accade negli Stati Uniti, dove esiste una campagna elettorale della durata di mesi, dove i candidati possono ritirarsi prima che siano finite le votazioni in tutti gli stati, e quanto viene fatto in Italia dove tutto si decide in una sola giornata.

Le considerazioni che seguono vogliono tralasciare quanto accade nel Partito Democratico e concentrarsi sulla scelta dei candidati delle coalizioni di centro-sinistra, siano essi candidati sindaci, presidente di Regione o rappresentante della coalizione nelle elezioni politiche generali. Questo perché la scelta del candidato di una coalizione interessa una pluralità di elettori, mentre la scelta del segretario di n partito, a mio parere, dovrebbe essere limitata agli iscritti.

Tutto parte da una domanda: il metodo utilizzato nelle primarie di coalizione è in grado di far emergere il candidato migliore?

In presenza di più di due candidati (è la condizione normale) gli elettori si disperdono tra di essi ed alcuni tra questi: quelli con posizioni più “estreme”, quelli meno conosciuti, rischiano di essere penalizzati dal fatto che l'elettore, a volte, non sceglie chi è per lui il preferito, ma tende ad escludere quello che, a suo parere, ha meno probabilità di vincere. Un atteggiamento che rientra nel concetto di “voto utile”. Agendo in questo modo, però, è difficile riuscire a conoscere veramente l'effettiva distribuzione delle opinioni e delle preferenze, in parole crude il “peso” dei candidati.

Quando nel 1993 ci fu il referendum sul sistema elettorale avevo letto un libro pubblicato in Francia nella mitica collana Que sais-je?. Si tratta di Les systèmes électoraux di Jean-Marie Cotteret e Claude Emeri, lì avevo trovato interessante il sistema detto del “voto unico trasferibile” che risulta essere stato utilizzato in Australia e in Canada. Con una certa sorpresa (i giornali italiani parlano poco dei fatti politici interni dei Paesi stranieri) ho appreso che quel sistema è stato oggetto il 5 maggio di un referendum tra gli elettori del Regno Unito che per i promotori avrebbe dovuto superare il tradizionale metodo di attribuzione dei seggi parlamentari con il metodo uninominale. Gli elettori britannici hanno scelto a larga maggioranza di mantenere il sistema in vigore, ma questo a mio parere non ne riduce invece la validità e sono ancora convinto che sarebbe il metodo da adottare per le primarie di coalizione.

Il voto unico trasferibile. E' una modalità di scrutinio maggioritario che combina in un solo turno gli effetti del doppio turno. Ogni elettore vota per un candidato, ma allo stesso tempo indica gli altri candidati che costituiscono la sua seconda preferenza, terza preferenza, eccetera. Fino ad esaurire tutte le candidature presenti. Se un candidato ottiene la maggioranza assoluta dei voti (50% dei votanti +1) come prima preferenza è eletto. In caso contrario, si elimina il candidato che ha ottenuto il minor numero di preferenze tenendo conto delle seconde scelte espresse sulle sue schede. Le seconde preferenze sono infatti distribuite tra gli altri candidati. Se nessun candidato ha ottenuto in questo modo la maggioranza si passa alla distribuzione delle seconde preferenze delle schede attribuite al candidato arrivato penultimo al primo giro di scrutini che saranno le terze per quelle schede che gli sono state attribuite al primo trasferimento. Si prosegue così di seguito fino a quando un candidato non raggiunge la maggioranza.

Un esempio per la migliore comprensione.

Esistono 4 candidati che raccolgono tra loro questi voti:

Bianco 18.000

Rosso 14.000

Verde 12.000

Blu 6.000

Per essere eletti occorrono 25.001 preferenze. Si annullano i 6.000 voti di Blu e si distribuiscono andando a leggere le seconde preferenze e si ha questo risultato:

Bianco 18.500

Rosso 15.500

Verde 16.000

Occorre a questo punto dividere i voti di Rosso. Si tratta della seconda preferenza per le schede che avevano indicato il suo nome come primo e la seconda per quelle schede che gli sono state attribuite al momento della ripartizione delle schede di Blu.

Se il risultato dell'operazione fosse:

Bianco 19.000

Verde 31.000

risulterebbe eletto Verde che con un sistema a ballottaggio non avrebbe partecipato al secondo turno.

Certamente il metodo proposto prevede uno scrutinio più lungo e molto più complicato. Permette a chi si riconosce in un candidato estremo di far sapere quanti sono i suoi sostenitori e ha il pregio di non aiutare una terza scelta, meno rappresentativa delle altre due, quando esistono due candidature molto simili tra loro e sulle quali l'elettorato si divide. Per essere chiari: con questo sistema Matteo Renzi probabilmente non sarebbe mai diventato il sindaco di Firenze e sarebbe ancora solo un apprezzato assessore. Forse.

Giuseppe Tacchella

[Per commenti all'articolo: tasso@fisac.net]

Giuseppe Tacchella
E' uno dei coordinatori FISAC dell'Area Liguria
giuseppe.tacchella@intesasanpaolo.com

 

 

 

 

 


 

 

 

Tasso - ver.3.0 n.08 - giugno 2010 - FISAC/CGIL ISP Liguria Piemonte Val d'Aosta - archivio - credits