Il Tasso intervista Paolo Barrera

Il 28 giugno sei stato eletto nella Segreteria di Coordinamento Intesa Sanpaolo. Cosa ci puoi dire?

Per me è ovviamente un onore. Ma soprattutto una responsabilità da prendere con molto impegno e serietà. Il momento che stiamo attraversando lo richiede senz’altro.

Perché questo momento in particolare?

Perché si è appena conclusa la lunga e difficile fase di armonizzazione post fusione che già si apre la gestione del nuovo Piano industriale. Una gestione di per sé non semplice che diventa veramente complessa se inserita nell’attuale contesto economico generale

Ma la firma a livello nazionale del nuovo Fondo di Solidarietà per l’Occupazione non rende più semplice anche la gestione del Piano Industriale?

Certo è d’aiuto, ma potrà essere veramente determinante solo se l’Azienda si convincerà ad utilizzare il nuovo Fondo come strumento per consentire nuove assunzioni.

E come?

Attualmente il Piano Industriale prevede l’uscita di 3.000 persone. Utilizzando il fondo si potrebbe pensare di “esodarne” un numero maggiore consentendo l’assunzione di giovani a compensazione delle maggiori uscite. Parallelamente e allo stesso scopo, si possono attivare i contratti di solidarietà espansiva. Certo queste soluzioni comportano un “investimento” da parte dell’Azienda. Perlomeno noi lo definiamo un investimento: l’Azienda al momento sembra considerarlo solo un costo aggiuntivo. (N.d.R. I contratti di solidarietà espansiva sono stati introdotti nell’accordo nazionale sul nuovo Fondo e sostanzialmente prevedono la possibilità di riduzione d’orario per fasce di personale in servizio su base volontaria e con una riduzione di reddito meno che proporzionale e la contestuale assunzione di nuovo personale).

Quindi hai dei dubbi che lo scenario possa prevedere assunzioni?

Lo scopriremo molto presto: il 19 è formalmente terminata la procedura con posizioni molto divaricate tra noi e l’Azienda. Vedremo se sarà possibile nei prossimi giorni raggiungere un accordo in qualche modo espansivo o se invece in questa prima fase ci sarà solo la gestione delle uscite preventivate o, ancora, se non sarà possibile raggiungere nessun accordo e dovremo aprire una vertenza. In ogni caso il nostro obiettivo di medio periodo resta il ripristino di un meccanismo che garantisca nuovi ingressi, a partire dalla stabilizzazione dei tempi determinati che hanno già prestato servizio in azienda.

Allo stato attuale quali sono i problemi che vedi come più complicati?

Sicuramente la gestione delle 5.000 riconversioni.

Perché?

Per diversi ordini di motivi. Il primo e più grave è di ordine pregiudiziale: se l’azienda non rivede le sue posizioni di completa disapplicazione delle garanzie per il personale in riconversione non potrà che aprirsi uno scontro molto duro. Diciamo poi che gli altri motivi attengono alle difficoltà intrinseche a qualsiasi fase di cambiamento, unite alla pessima prova che l’Azienda dà ogni volta che deve motivare le persone. Il tutto, ed è la cosa più preoccupante, in un contesto in cui le riconversioni non sono dettate dell’esigenza di “coprire” nuove esigenze professionali, ma piuttosto dalla necessità di cancellare attività ritenute non più produttive. Ho personalmente tentato in più confronti con vari esponenti aziendali di “scoprire” quali siano le “attività innovative” su cui dirottare il personale da riconvertire, ma non ho ottenuto nulla di concreto. O è uno dei segreti meglio custoditi della storia, oppure l’Azienda è ancora ben lontana anche solo dall’avere ipotesi concrete in merito all’innovazione.

E quindi?

Quindi il rischio è quello di trovarsi in una situazione molto pericolosa. Centinaia, migliaia di persone che speravano di uscire con un esodo e non potranno farlo e altrettante, auspichiamo non le stesse, a cui sarà chiesto di riconvertirsi, ma senza un concreto progetto professionale da realizzare. La banca corre il rischio di diventare una sorta di “non luogo” alla Lost (N.d.R. la nota serie televisiva ) in cui un gruppo di persone viene strappata alla sua quotidianità e per sopravvivere deve reinventarsi  in attività di cui non conosce lo scopo, che spesso appaiono inutili, con direttive misteriose e contraddittorie.

Non è che Lost finisse bene…

Francamente non è chiaro come sia finito Lost. Certamente i destini aziendali dovrebbero essere governati con maggiore attenzione di quelli di una serie televisiva. Invece mi sembra che sceneggiatori e registi anche in Intesa Sanpaolo attraversino un momento di confusione.

E il sindacato?

Siamo concentrati su varie direttrici. Gestire i pensionamenti in forme non traumatiche. Garantire il non incremento dei carichi di lavoro. Impedire la messa in discussione dell’applicazione generalizzata degli accordi di fusione. Lavorare a soluzioni realmente innovative che consentano di sperimentare tutti gli strumenti messi a disposizione dal nuovo fondo esuberi per facilitare l’avvicinamento all’uscita dal lavoro e il contestuale ingresso di nuovi assunti. Favorire sperimentazioni anche di forme di part time volontario e incentivato, sempre con l’obiettivo di favorire nuovi ingressi, magari a part time anch’essi, ma a tempo indeterminato. Offrire assistenza e tutela dei colleghi coinvolti nei processi di riconversione, affinché siano salvaguardati i loro diritti (in primo luogo quello a una mobilità limitata), le loro specificità e la loro qualità del lavoro e della vita. Quest’ultimo aspetto ci impegnerà particolarmente anche a livello decentrato sul territorio, perché, come dicevo prima, l’azienda tende a dare il peggio di sé quando deve rapportarsi con i colleghi in fasi complesse.

Parliamo allora dell’ultimo aspetto. Secondo te, perché talvolta i colleghi vivono l’azienda quasi come un nemico?

Secondo me è una questione di scarse capacità di “people management”. Intesa Sanpaolo è un’organizzazione complessa, con forti esigenze riorganizzative e che si muove in un mercato turbolento. La gestione di una fase come questa richiede inevitabilmente la condivisione dei propri dipendenti sugli obiettivi, sui processi e, ovviamente, sui prodotti. E la condivisione si può ottenere solo tramite l’individuazione di obiettivi chiari e raggiungibili, comunicati in forme inclusive e tenendo conto della realtà. I proclami roboanti e stereotipati non solo non servono, ma pongono in cui li ascolta seri dubbi sul livello di conoscenza della situazione reale da parte di chi li lancia. Il cambiamento si gestisce partendo dalle difficoltà e dalla costruzione di strumenti condivisi per superarle, non dalla loro negazione. Se i tuoi capi non trovano di meglio che farti capire che tu sei il loro problema anziché la risorsa con cui superare i problemi, credo che sia difficile non vederli come dei nemici…

Su questi temi c’è un vivace confronto aperto proprio in Area Torino…

Certamente si. Il 21 giugno abbiamo scritto un volantino (click qui) contro prese di posizione inaccettabilmente aggressive della Direzione regionale e abbiamo ripreso la questione durante l’incontro con l’Area del 12 luglio. Credo che il confronto sia servito e che dei passi in avanti siano stati fatti. Ad esempio sono venuto a conoscenza di una mail congiunta di Area e Direzione regionale in cui, per la prima volta, si metteva l’accento sul fatto che “…ci sia una interpretazione da parte della rete che è focalizzata sulla misurazione commerciale dei risultati (come è emerso chiaramente da alcuni incontri con i gestori), trascurando il tema del contatto …” e ancora “…non basta guardare il risultato commerciale ma è necessario dare pari rilevanza al tema dei contatti con i nostri clienti (…) una banca come la nostra (…) deve saper gestire un momento di grande criticità dimostrando la massima vicinanza ai clienti, con professionalità e con quella capacità di consulenza che rappresenta uno dei nostri massimi valori…”. Voglio interpretare questa mail come il primo segnale di correzione di rotta verso il definitivo abbandono dei report giornalieri sul venduto a favore di una politica di reale consulenza della clientela in una fase molto difficile per tutti. Il lavoro è ancora lungo, e la concreta gestione delle riconversioni sarà un terreno molto importante su cui testare la capacità del management di rivedere il proprio stile direzionale, prima di chiedere la riconversione professionale dei colleghi.

In conclusione ti senti pessimista o ottimista?

Pessimismo e ottimismo sono due stati dell’animo, molto importanti per gli individui, ma troppo sopravvalutati ai fini dell’agire collettivo. Personalmente preferisco pensare di improntare la mia attività sindacale al realismo. E la realtà è che come FISAC siamo attrezzati per affrontare con successo il momento molto complesso che stiamo vivendo. Nel recente congresso ci siamo dati una struttura organizzativa solida ma modulare e “vicina” al territorio. I nostri obiettivi sono chiari, conosciuti e condivisi dai lavoratori. Le nostre forme di comunicazione elettronica (sito web e mailig list) sono oggetto di un processo di razionalizzazione e ulteriore rafforzamento e parallelamente i nostri sindacalisti si stanno impegnando per garantire una presenza “fisica” nelle filiali e negli uffici ancora più diffusa e frequente. La nostra credibilità presso l’Azienda e le altre Organizzazioni sindacali è molto grande. Siamo la prima Organizzazione per numero di Iscritti in Azienda.  Insomma abbiamo tutti gli strumenti necessari per far sentire il nostro peso.

Credo quindi che insieme ai (e per i) colleghi potremo fare molto e bene.

Il Tasso

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Il Tasso
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Tasso - ver.3.0 n.09 - luglio 2011 - FISAC/CGIL ISP Liguria Piemonte Val d'Aosta - archivio - credits