Il
lavoro straordinario Premessa L’orario di lavoro è stabilito nei suoi limiti massimi dalla legge; tuttavia la contrattazione collettiva può stabilire un orario di durata inferiore. L’orario di lavoro superiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale – ed entro il limite massimo previsto dalla legge o dai contratti collettivi – è comunemente definito “lavoro straordinario” ed è anch’esso disciplinato sia dalla legge che dalla contrattazione collettiva nazionale. Definizione e legislazione di riferimento. La fonte legislativa è la legge n. 409/1998, che ha aggiornato la vecchia normativa del 1923 e la più recente legge n. 196/1997, il c.d. “pacchetto Treu”. Ricordiamo come la legge n. 196/1997 (art. 13) avesse stabilito le 40 ore settimanali quale tetto legale massimo del lavoro ordinario. Esplicitamente la legge n. 409/1998 fa salvo quanto previsto dal contratto nazionale collettivo di lavoro, fissando tuttavia, in mancanza di previsioni in merito, il limite massimo di lavoro straordinario in 250 ore annue e 80 trimestrali, con obbligo dell’azienda di comunicare entro 24 ore all’Ispettorato del lavoro il superamento delle 45 ore settimanali. In caso di violazioni sono previste sanzioni amministrative. Un punto qualificante della suddetta legge n. 409/1998 (art. 1 comma 2), è quello in base al quale il legislatore ha stabilito, claris verbis che, in assenza di disciplina ad opera della contrattazione collettiva, il ricorso allo straordinario è ammesso solo previo accordo delle parti – datore di lavoro e lavoratore – beninteso entro i termini massimi previsti. La legge n. 409/1998 stabilisce che il datore di lavoro sia legittimato a fare richiesta di “lavoro straordinario” in determinati specifici casi: -per eccezionali esigenze tecnico – produttive; -per forza maggiore, in caso di pericolo di danno grave alle persone o alle cose; -per particolari eventi quali fiere, mostre, manifestazioni nonché allestimento di prototipi, modelli o simili. Obbligatorietà e rifiuto del lavoro straordinario La questione dell’obbligatorietà o meno del lavoro straordinario, e delle conseguenze del rifiuto di prestare il medesimo, costituisce un punto problematico in materia. Nonostante la formulazione dell’art.1 comma 2 della legge n. 409/1998, la dottrina tende a darne un’interpretazione restrittiva ed a riconoscere l’obbligatorietà del lavoro straordinario nei casi in cui la contrattazione collettiva fissi dei limiti massimi allo straordinario stesso, con la conseguenza che il rifiuto può essere sanzionato in sede disciplinare. Il rifiuto del lavoratore, tuttavia, secondo i principi giuridici generali, può essere legittimo in caso di giustificato motivo (da valutarsi caso per caso). Di contro, la richiesta del datore di lavoro deve essere improntata ai principi di buona fede e correttezza, in mancanza dei quali, il lavoratore non può essere sanzionato disciplinarmente. La giurisprudenza nazionale in punto obbligatorietà o meno del lavoro straordinario non si è espressa in modo significativo. Interessante è invece la sentenza della Corte di Giustizia Europea del 8/2/2001 la quale – in applicazione della Direttiva CEE n. 533/1991 relativa all’obbligo del datore di lavoro di informare il lavoratore in merito alla condizioni applicabili al rapporto di lavoro - ha affermato il principio della non obbligatorietà del lavoro straordinario. Nel caso di specie, nell’ambito della valutazione della legittimità o meno del licenziamento per i ripetuti rifiuti di un lavoratore tedesco a svolgere il lavoro straordinario richiesto dal datore di lavoro, ha stabilito che se nella contrattazione collettiva non è prevista l’obbligatorietà dello svolgimento di lavoro straordinario a semplice richiesta del datore di lavoro, lo stesso lavoro straordinario non può essere imposto al dipendente, bensì potrà solamente essere concordato attraverso il consenso delle parti datore di lavoro – lavoratore. Previsioni del CCNL di categoria attualmente in vigore Il CCNL di categoria del 2007 (tuttora in vigore), prevede all’art. 100, la facoltà dell’azienda di richiedere prestazioni aggiuntive rispetto all’orario normale entro il limite massimo di 2 ore giornaliere e 10 settimanali. Tali prestazioni aggiuntive devono essere sempre autorizzate dall’azienda. Il comma 2 del suddetto articolo 100 precisa che, le prestazioni aggiuntive, sino al raggiungimento del tetto delle 50 ore annuali rappresentano uno strumento di semplice flessibilità e non costituiscono pertanto lavoro straordinario, essendone previsto il recupero obbligatorio attraverso di meccanismo della c.d. banca delle ore. Oltre le 50 ore e sino al tetto delle 100 ore, i lavoratori possono scegliere il meccanismo del recupero ovvero esigerne il pagamento quale straordinario a tutti gli effetti. Oltre le 100 ore e sino alle 150 ore è previsto il pagamento quale lavoro straordinario. Il comma 6 dell’art. 100 prevede tuttavia il tetto massimo dell’orario straordinario fissato entro le 100 ore annuali – in aggiunta alle prime 50 ore di flessibilità con recupero obbligatorio - ed al comma 7 viene stabilito che il lavoro straordinario non può essere effettuato nei giorni festivi ed al sabato od alla domenica, tranne particolari ed eccezionali esigenze. Nulla è stabilito dal CCNL in merito all’obbligatorietà dei lavoratori ad effettuare la prestazione inerente al lavoro straordinario. Ne consegue che, in presenza nel CCNL di una dettagliata disciplina circa i limiti orari di lavoro straordinario ed in assenza di giurisprudenza in Italia, è possibile che il datore di lavoro sostenga la citata interpretazione circa l’obbligatorietà dello stesso. Non si può quindi escludere che un rifiuto a svolgere il lavoro straordinario possa esporre il lavoratore al rischio di una sanzione disciplinare, che soltanto il giudice del lavoro potrebbe poi disapplicare. Ne consegue che è preferibile che l’argomento del rifiuto dello straordinario sia affrontato in sede sindacale e non con iniziative di singoli lavoratori. Alberto Massaia e Liliana Perrone [Per commenti all'articolo: tasso@fisac.net] |
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- ver.3.0 n.10 - ottobre 2011 -
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