Cronache da Casalborgone

Era ottobre inoltrato. E nella casa sulla collina, già discretamente affollata di animali, si era verificato un nuovo arrivo. A mia insaputa, ovvio!

Al mio rientro la sera, dopo la consueta giornata di lavoro e i consueti (troppi…) kilometri del ritorno, discretamente stanca, entro nello studio e in una gabbia piccola e non proprio perfetta trovo una coppia di esseri mai visti prima…

“E questi chi sono?!” è la domanda che rivolgo al mio bipede, evidentemente responsabile dell’evento. Ve la faccio molto breve: un suo conoscente gli aveva “scaricato” due calopsite (sorta di piccoli pappagalli dotati di ciuffetto sulla testa), molto giovani, fratello e sorella a suo dire, a causa del netto rifiuto della moglie di continuare ad ospitarli. Era forse questa la ragione per cui, invece, mio marito si era ben guardato dall’annunciarmi la new entry?

In ogni caso, per me si è trattato di amore a prima vista! Tanto che di fronte alle di lui giustificazioni, tipo “ma tanto sono solo di passaggio, domani li porto all’oasi” (parco/allevamento con moltissimi animali a San Sebastiano Po’…), e anche “ma tanto loro stanno benissimo anche all’aperto”, e inoltre “ma tanto noi non sappiamo dove tenerli in casa”, la mia tesi è stata che i due piccoli e colorati pennuti non potevano certo essere messi fuori proprio all’inizio della brutta stagione, che se erano abituati a stare al coperto di sicuro si sarebbero ammalati. E proprio mentre enunciavo la mia tesi, ecco un bello sternuto da parte della femminuccia! Detto fatto. Non si poteva certo non tenerli da noi, in casa, al calduccio, accanto alla già esistente gabbiona dei canarini. E per evitare qualunque altra tentazione, mi sono fiondata a comprare su internet una ulteriore gabbiona adatta alla bisogna e alla specie.

Sistemati anche loro nello studio (pur cominciando a nutriere dubbi sulla correttezza della definizione per quella stanza…), abbiamo cominciato una convivenza che dura ormai da quasi un anno. Devo segnalare, per dovere di informazione, che questi bellissimi uccelli possono essere “addomesticati”, cioè volarti in mano, farsi accarezzare, prendere cibo dalle tue dita, solo se sono stati “allevati a mano”. Significa che il piccolo dopo 8/10 giorni dalla nascita viene separato dai suoi simili ed allevato e nutrito esclusivamente dall’umano che vivrà con lui, con il quale si stabilisce quindi un legame molto stretto, che sostituisce di fatto la relazione che normalmente esisterebbe tra i membri della coppia (sono monogami) o tra genitore e figlio.

Suona un po’ stonato… Ma in ogni caso, i nostri fratellini erano già quasi adulti e, ovviamente, erano cresciuti per i fatti loro. Dopo innumerevoli tentativi di fargli acquistare fiducia e confidenza in me, che significa un totale di ore passate con una pannocchietta di panico in mano ad aspettare che salissero sul mio palmo per mangiarla, mi sono arresa alla regola esposta sopra. Da allora mi sono fatta una ragione dell’impossibilità di toccare e accarezzare due dei nostri animali. Per noi una cosa impensabile! Vista l’abitudine di dare un bacino sul muso anche alle pecore, o di stropicciare la pancia morbida delle galline, o di farsi becchettare affettuosamente la guancia dalla gufetta.

Diciamo che con le calopsite ci conosciamo e ci rispettiamo a vicenda, ci facciamo qualche chiacchierata (sono io ad imitare i loro suoni, e non il contrario!), ci permettiamo di tenere aperta la gabbia qualche ora al giorno in modo che i due si facciano un giretto e possano ridurre in briciole piccolissime la “Storia della filosofia” che sta all’ultimo piano della libreria, il loro posto preferito.

Sono certa che se avessero potuto scegliere, nell’impossibilità di raggiungere i tropici, avrebbero scelto noi per mettere su casa!

Era luglio inoltrato. E sulla strada che sale lungo la collina si è verificato un nuovo incontro. Un pomeriggio assolato, mentre torno in macchina, noto sull’asfalto un riccio che cammina un po’ incerto in pieno sole. Penso che se fosse saggio non lo farebbe, ma non mi fermo. Il giorno dopo lo vedo di nuovo, sempre in pieno pomeriggio e in pieno sole, e a quel punto mi dico che un riccio non può essere così pirla! (sono animali che dormono durante il giorno, e solo col buio girano per procurarsi il cibo, evitando così almeno una parte di predatori). Infatti….. Mi fermo per raccoglierlo, e lui, molto fiducioso, si fa mettere una mano sotto la pancia (morbidissima!) e si fa sollevare e guardare: i suoi occhi sono opachi e non mi guardano, ecco perché se ne va in giro col sole….

Un riccio ipovedente! Non posso lasciarlo al suo destino, di certo poco luminoso… Così lo infilo nella borsa, lo carico in macchina, e lo porto a casa. Dove mio marito è ancora più appassionato ai ricci di me, e quindi non può che approvare la mia iniziativa. Il riccio, immediatamente battezzato Ipo, è giovane, sembra sano, è un maschio (sempre accertarsi di non prelevare una femmina, perché potrebbe avere dei cuccioli che la stanno aspettando, mentre maschi e femmine non fanno coppia e sono quindi solitari incalliti). Solo non ci vede. Il veterinario, chiamato per una pecora, visita anche lui, e ci conferma che è giovane e che probabilmente ha avuto il problema agli occhi da poco (solo vedendoci poteva trovare il cibo e crescere), forse un’infezione… Tentiamo una cura, con l’applicazione per otto giorni di una pomata a base di cortisone e antibiotico, ma non ci sono miglioramenti. Se avesse recuperato almeno un po’, avremmo deciso di rimetterlo in libertà perché provasse a fare una vita da riccio, anche se svantaggiato rispetto ai suoi simili normodotati.

Ma così…. È amaro dover scegliere al posto di un altro essere vivente che fare della sua esitenza.

Le possibilità che riesca a procurarsi il cibo e a sfuggire i pericoli, nella sua condizione, sono ridottissime. L’alternativa è la cosiddetta libertà vigilata. Che non mi piace, mai. Ma che protegge, in questo caso salva la vita.

E allora Ipo si trasferisce nella ex residenza delle quaglie, una voliera “blindata” ai predatori, con all’interno la casetta di legno con la paglia, tipica da riccio. Almeno potrà camminare sull’erba e arrampicarsi sugli ostacoli artificiali che ho piazzato lì per distrarlo un po’. Per il momento non sembra troppo “compresso”, ma vi assicuro che vederlo camminare all’interno di quello spazio chiuso è comunque un pugno nello stomaco. Vorrei potergli chiedere che cosa preferirebbe!

Tutti noi esseri viventi dovremmo avere libertà di scelta sulla nostra vita e la nostra morte! Scusate, ho esagerato, mi sono identificata… Ma siamo così simili, e non basta pensare “tanto è solo un riccio”.

Patrizia Pirri

[Per commenti all'articolo: tasso@fisac.net]

Patrizia Pirri
Autrice di questo articolo, è una delle referenti della FISAC dell'Area Torino Piemonte Nord Valle d'Aosta
(contattabile qui: patrizia.pirri@intesasanpaolo.com), ma è anche una convinta animalista.
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tasso ver.3.0 n.10 - ottobre 2011 - FISAC/CGIL ISP Liguria Piemonte Val d'Aosta - archivio - credits