Interviste

Sono più o meno una decina le ragazze che sono state assunte dalla nostra azienda grazie al progetto presentato dall’associazione Alma Terra di Torino. Hanno età e storie molto particolari, provengono da paesi differenti, con culture profondamente diverse l’una dall’altra. Sono sicura che la lettura di alcune delle loro storie vi appassionerà, vi farà riflettere su cosa è il nostro paese e, magari vi farà conoscere, seppure in maniera molto parziale, la condizione della donna in alcuni paesi del mondo.

 

ROSINE: Rosine è una ragazza di 35 anni e proviene dal Camerun.

Sono arrivata in Italia nel 1995, quando avevo 19 anni, non appena conseguito il diploma di maturità (fortunatamente riconosciuto anche in Italia), allo scopo di iscrivermi alla facoltà di scienze delle comunicazioni, presso l’Università di Torino. Dopo aver sostenuto un esame di conoscenza della lingua italiana (il cui superamento è obbligatorio per poter ottenere il visto) ho quindi preso l’aereo e sono arrivata. E’ stato un vero e proprio viaggio verso l’ignoto. Per circa 3 settimane sono stata presso mio fratello che abita vicino a Milano, poi mi sono dovuta trasferire a Torino, poiché allora l’unica facoltà pubblica che avesse l’indirizzo che avevo scelto era appunto quella torinese (a Milano c’era solo presso la Bocconi e quindi totalmente al di fuori delle mie possibilità economiche). A Torino ho condiviso, per molti anni, un appartamento con altre ragazze migranti come me che, tra le altre cose, mi hanno insegnato a parlare bene l’italiano. A parte il fatto di essere praticamente e completamente da sola in un paese profondamente diverso dal mio, anche la mia scarsa conoscenza della lingua ha influito nei primi tempi di permanenza. Inoltre devo dire che, purtroppo, ogni giorno ho dovuto subire molte umiliazioni: ogni qual volta prendevo l’autobus c’era qualcuno che mi diceva di ritornare al mio paese, che mi chiedeva con disprezzo cosa ci facessi in Italia. Oppure, se mi sedevo vicino a qualcuno, spesso la persona che avevo accanto si alzava infastidita. Ma la cosa che mi ha fatto più male è stata il fatto che moltissimi uomini mi scambiassero per una prostituta: per loro una ragazza africana in Italia non poteva che prostituirsi. Generalmente questo atteggiamento intollerante era da parte di persone non più giovani e devo dire che fortunatamente la mentalità degli italiani in questi anni è profondamente cambiata, in meglio. Ora questi episodi mi capitano davvero molto di rado. Ho conosciuto l’associazione Alma Mater grazie ad un docente universitario. Ho iniziato a frequentare questa associazione soprattutto per non sentirmi sola, è davvero un’associazione che aiuta molto l’integrazione grazie ai suoi tanti progetti. Ho allora iniziato a prestare volontariato (facevo la baby sitter per i bimbi di altre donne immigrate) poi sono riuscita, grazie al mio titolo di studio, ad entrare a far parte di questo progetto, ho superato la selezione e sono stata assunta in banca. Una volta assunta, con i colleghi non ho mai avuto problemi di integrazione, mentre soprattutto all’inizio qualche problema con i clienti l’ho avuto. Io sono addetta alle mansioni di cassa e nei primi anni molti clienti si rifiutavano di essere serviti da me tanto che, mi ricordo un episodio avvenuto in una filiale di Torino, il collega responsabile delle casse, esasperato e deluso da questi comportamenti nei miei confronti, si è sentito in dovere di scusarsi a nome di quelle persone. Fortunatamente, con il tempo, le cose sono decisamente migliorate.

RITIENI CHE CI SIANO MAGGIORI DIFFICOLTA’ NELL’ESSERE DONNA E STRANIERA LAVORANDO IN BANCA? CI SONO ANCORA MOLTI CHE PENSANO CHE LE QUESTIONI DI DENARO SIANO QUESTIONI PER UOMINI…
Non ti so rispondere nel senso che ho la sensazione (ma credo che ciò sia indipendente dalla nazionalità) che noi donne dobbiamo dimostrare di più di quello che viene chiesto agli uomini.

VIENE FESTEGGIATO L’8 MARZO IN CAMERUN?
Fino al 1995, questa festa era quasi sconosciuta, ma ora è molto sentita. La condizione della donna in Camerun, nonostante i passi in avanti è ancora difficile: è un paese profondamente patriarcale dove la poligamia (anche se non ufficialmente) è ancora molto praticata; se lavorano, le donne lo fanno in pochi settori, principalmente diventano delle piccole commercianti ed il lavoro di cura pesa tutto sulle loro spalle. Spesso poi capita che gli uomini non diano tutto lo stipendio alla famiglia, e quindi le donne hanno anche il problema su come riuscire a far fronte al sostentamento. Qui in Italia, come simbolo per la festa della donna avete il fiore della mimosa, in Camerun, invece, viene fabbricato un particolare tessuto sopra il quale spesso vengono scritte delle frasi simbolo (per esempio “le donne sono la forza del Camerun di domani”). Le donne acquistano questo tessuto con orgoglio; per noi è ancora una festa giovane e molto sentita perché stiamo diventando sempre più emancipate, anche se è chiaro a tutte che la strada da percorrere per arrivare all’ugugualianza con gli uomini è ancora molto lunga. 

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RACHIDA:  Rachida ha 31 anni ed è nata ad Agadir, in Marocco.

Sono arrivata in Italia nel 1986, da bambina, avevo solo 5 anni. I miei genitori erano già qui da qualche tempo, ed avevano progettato il mio arrivo in questo paese più tardi rispetto a quando è avvenuto: avevo già iniziato ad andare a scuola in Marocco, ma poi sono stata male all’improvviso, hanno scoperto che avevo un problema al cuore e quindi di gran fretta sono arrivata in Italia per potermi curare al meglio. Sono quindi cresciuta in Italia e, ovviamente, ho frequentato tutti i cicli scolastici qui. Il primo ricordo che ho di questo paese è legato alla neve, io non l’avevo mai vista. Anche in Marocco ci sono montagne alte dove d’inverno nevica parecchio, ma la mia città di origine, Agadir, è sul mare (magari tanti nostri colleghi ci sono andati in vacanza, visto che è una meta turistica molto importante), per me è stata davvero una scoperta. Essendo stata piccola quando sono arrivata, non mi ricordo di avere mai subito atti di discriminazione, anzi a scuola ho avuto un’ottima accoglienza: quando stavo male la maestra, veniva a spesso a trovarmi e mi portava i compiti, di modo che non rimanessi indietro rispetto agli altri miei compagni di scuola. C’e’ da dire che quando sono arrivata, c’erano molti meno immigrati, sono comunque stata fortunata.

COME HAI CONOSCIUTO L’ASSOCIAZIONE ALMA MATER ED IN CHE MODO SEI VENUTA A CONOSCENZA DEL LORO PROGETTO?
Conoscevo l’associazione già da parecchio tempo, non so esattamente da quando. La conoscevo perché frequentavo con una certa regolarità il loro bagno turco, ma non avevo idea che si occupassero anche di progetti di questa natura. Un giorno, sono andata a fare un’operazione presso uno sportello della banca CRT e sono stata servita da una ragazza originaria dell’Albania. E’ stata proprio lei ad informarmi di questa opportunità, invitandomi a non perdere l’occasione e preparare tutti i documenti necessari per poter accedere alla selezione. Ho seguito il suo consiglio e sono riuscita a superare la selezione, per ci sono stata assunta. Purtroppo ho avuto qualche problema di integrazione all’inizio sia con qualche collega, che con qualche cliente. Persone che ritenevano che io avessi “rubato” il posto di lavoro ad un italiano, magari proprio al loro figlio… A parte il fatto di avere la cittadinanza italiana, non credo proprio di avere rubato niente a nessuno, ho studiato con profitto e ho superato una selezione dura per poter avere questo lavoro. Quelle parole ignoranti, allora, dovrebbero valere anche per i colleghi italiani da più generazioni, anche il loro posto sarebbe potuto essere occupato da un’altra persona! Fortunatamente con il tempo però le relazioni sia con i colleghi che con i clienti sono decisamente migliorate. 

RITIENI CI SIANO MAGGIORI DIFFICOLTA’ PER UNA DONNA CHE LAVORA IN BANCA, E PER UNA DONNA NON ORIGINARIA DELL’ITALIA?
Credo che le maggiori difficoltà che incontro non siano ora da attribuire alle mie origini, ma piuttosto alla figura professionale che ricopro: spesso i clienti non capiscono le regole e non gli bastano le mie spiegazioni, preferiscono che la stessa cosa venga loro detta da chi ha maggiori responsabilità.  

SI FESTEGGIA L’8 MARZO IN MAROCCO?
Non ho idea se, almeno ufficialmente, la festa delle donne sia riconosciuta. Nei fatti le donne, se non magari l’elite culturale, non sanno che esista questa ricorrenza.  La condizione della donna è ancora molto dura, basti pensare che esiste una legge dello stato che illustra il ruolo della donna nella famiglia e nella società,  ruolo inferiore rispetto a quello dell’uomo. In alcune zone di campagna, l'analfabetismo tra le donne tocca livelli molto alti (80%) e  solo con fatica i padri accettano di mandare a scuola le bambine. Le donne che riescono a convincere il marito possono, però, frequentare i corsi gratuiti per adulti promossi dallo Stato, per poter almeno fare la propria firma, per poter aiutare i figli a scuola o per poter incassare un vaglia postale, mandato da un familiare lontano.  

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DORA: Dora è nata in Perù ed ha 47 anni. Ecco la sua storia.

Sono arrivata in Italia, 14 anni fa, per il ricongiungimento familiare con mio marito. L’impatto iniziale con l’Italia, è stato abbastanza difficile in quanto non conoscevo la lingua, anche se abbastanza simile alla mia, ci sono ovviamente delle differenze ed anche gli usi, le abitudini sono diversi. Ho quindi dovuto adattarmi molto in fretta ed imparare l’italiano, è stato un periodo faticoso, ma non mi ricordo di avere mai subito alcun atto discriminatorio. Ho conosciuto l’associazione Alma Mater grazie ad una mia amica, anch’essa peruviana, che collaborava con loro; mi parlò dei progetti che avevano in corso e quindi, grazie alla mia laurea in economia e commercio, ho deciso di presentare la mia candidatura per l’assunzione in banca. Il mio titolo di studio mi ha quindi permesso di superare le selezioni e l’allora Banca San Paolo mi ha assunta. Anche in questa occasione ho dovuto adeguarmi ad una nuova realtà, rispetto alle mie precedenti esperienze lavorative, il sistema di  lavoro in banca l’ho trovato piuttosto statico. Effettivamente arrivavo da una carriera lavorativa all’estero molto importante e, prima di arrivare in Italia avevo un incarico di responsabilità presso una grande azienda. Ho però avuto la fortuna di trovare sempre colleghi molto disponibili nei miei confronti e, quando ero in filiale (ora lavoro presso ISGS) ero riuscita a stabilire dei buoni rapporti anche con i clienti, tanto che, con alcuni di loro sono tuttora in contatto. Per quanto riguarda le pari opportunità, le donne in Italia indubbiamente devono affrontare molte difficoltà, perché il  loro lavoro venga riconosciuto, devono faticare molto di più di quanto sia richiesto agli uomini e, a mio giudizio, ciò è vero anche per il mondo lavorativo bancario che mi sembra ancora troppo maschilista.

VIENE FESTEGGIATA LA FESTA DELLE DONNE IN PERU’?
Per quello che mi ricordo, non è una festa molto sentita. In Perù è solo da pochi anni che la televisione ed i giornali, menzionano l’8 marzo come la festa delle donne, non si festeggia e non si regalano fiori. Molte donne neanche sanno che esiste una ricorrenza dedicata loro! Inoltre, come del resto negli altri paesi dell’America Latina, il machismo è ancora molto presente: nonostante sulla carta le donne abbiano pieno accesso al mondo del lavoro, il maschilismo è ancora troppo presente. Nonostante esista il movimento femminista, non è però forte come sarebbe necessario.

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KIANGALA: Kiangala ha 27 anni ed è nata in Congo.

Sono in Italia dall’età di 5 anni, ci siamo trasferiti qui perché i miei genitori lavoravano qui a Torino. Il primo ricordo che ho di quando sono arrivata sono le luci: nelle strade, nei negozi, dappertutto, io non ero abituata a vedere così tanto bagliore. Ho avuto comunque un impatto tranquillo con la nuova realtà, solo raramente a scuola qualche mio compagno, poco intelligente o magari influenzato da genitori ignoranti, mi chiamava con appellativi stupidi e cattivi. Io ho sempre cercato di rispondere a tono, ma ogni tanto qualche lacrimuccia mi scappava, non capivo perché mi dovessero trattare in quel modo. Con il massiccio arrivo dell’emigrazione negli anni ’90, soprattutto da parte delle persone meno giovani, ci sono stati più episodi di intolleranza ed ignoranza. Io ho un carattere piuttosto forte, cercavo di non dare peso a queste dimostrazioni di grande ignoranza, ma non posso certo nascondere che in quelle occasioni ho provato grande rabbia. Per quanto riguarda la ricerca del lavoro, devo dire che sono stata molto fortunata: nel 2003 ho ricevuto una lettera nella quale venivo invitata, nel caso fossi in possesso di un titolo di studio adeguato e con un buona votazione, a partecipare alla selezione riservata alle  donne di origine straniera per l’assunzione presso il San Paolo. Avendo tutti i requisiti richiesti, ho ovviamente partecipato alla selezione e sono stata tra le persone che hanno superato le prove e sono quindi stata assunta. Non ho avuto alcun problema di integrazione con i colleghi, mentre il rapporto con i clienti in qualche caso è stato antipatico. Soprattutto all’inizio, quando come tutti, dovevo ancora imparare tante cose e quindi facevo domande ai miei colleghi per avere le risposte ai miei dubbi, qualche cliente usciva con frasi del tipo “la nera non sa niente” dando in questo modo colpa della mia inesperienza, non al fatto che lavoravo da poco, ma al colore della mia pelle. Oppure frasi apparentemente innocenti come “però parla bene italiano” che magari nelle intenzioni di chi le pronunciava volevano essere dei complimenti, mi facevano capire come la strada da fare in Italia è ancora molto lunga. Indubbiamente, il fatto di essere donna nel mondo del lavoro non comporta nessun vantaggio: il lavoro, le cure familiari, rispecchiano in pieno un modello ancora molto maschile. Se è già duro per tutte le donne immaginate come deve essere per una persona visibilmente differente come me!

ANCHE IN CONGO SI FESTEGGIA L’8 MARZO?
Non ne ho la più pallida idea, ero così piccola quando sono venuta in Italia, che non ho ricordi al riguardo. Magari mi puoi dire tu qualcosa in merito! Per le donne in Congo, ci sono pochi motivi per cui festeggiare, soprattutto da quando c’è la guerra civile si calcola che circa 200.000 donne siano state violentate sia dai ribelli, sia dai soldati dell’esercito regolare.
Le violenze sessuali hanno iniziato ad essere praticate in maniera massiccia a partire dalla prima guerra del Congo (1996-1997), terminata con la caduta del dittatore Mobutu Sese Seko, e sono continuate con la seconda guerra del Congo (1998-2002), colpendo donne e bambine , di tutte le età. Gli stupri costituiscono ormai una vera e propria arma da guerra utilizzata da ambedue gli schieramenti in modo sistematico come strumento di terrore nei confronti della popolazione civile per annientarla ed umiliarla. Gli enormi giacimenti minerari presenti nei territori ad est della Repubblica Democratica del Congo, in special modo oro e diamanti, hanno sollecitato innumerevoli appetiti, alimentando un conflitto che dal 1998 al 2002 ha prodotto cinque milioni di morti e dove tutte le forze in campo sono dedite a massacri e violenze. La violenza in Congo non potrà mai essere debellata senza una precisa volontà della comunità internazionale, volontà che sino ad oggi è mancata. Anche quest'anno sarà un 8 marzo molto triste in Congo.

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 XUECHEN: Xuechen è nata in Cina, a Pechino ed ha 43 anni. 

Sono in Italia dal 1996, ho lasciato il mio paese per amore, per seguire quello che è poi diventato il mio ex marito, un uomo italiano che ho conosciuto a Pechino. L’impatto con l’Italia non è stato molto traumatico, conoscevo già la vostra cultura, ho sempre vissuto a Pechino, una grande città. Anche grazie all’apertura mentale di mio marito e dei suoi amici, non ho avuto all’inizio grandi difficoltà, se non quelle legate alla lingua. Nei primi tempi della mia permanenza in Italia, collaboravo con l’istituto italo cinese, poi ho saputo del progetto dell’associazione Alma Mater, per cui ho deciso, visti i miei studi di commercio con l’estero conseguiti in Cina, di partecipare alla selezione legata al progetto di Alma Mater. In realtà conoscevo questa associazione ancora prima di arrivare in Italia, quando ancora abitavo a Pechino. Nella primavera del 1995 ci fu a Pechino un evento per le associazioni internazionali e le ONG, in quell’occasione ho collaborato con questa associazione ed ho mantenuto i contatti nel tempo. Una volta assunta, ho avuto qualche difficoltà di inserimento sia con i responsabili che con i colleghi, soprattutto a causa delle difficoltà linguistiche. Da quando ho cambiato filiale, ho qualche problema con i clienti, soprattutto, anche se può sembrare assurdo, con i clienti cinesi. Con la clientela di altre cultura, i problemi che si pongono non sono date dalle mie origini, ma per quanto riguarda coloro che hanno una cultura fortemente maschilista, ma dal fatto di essere una donna. In genere, quando sento commenti di carattere razzista, faccio finta di non sentire, le persone che si esprimono e pensano certe cose  secondo il mio modo di vedere, non dimostrano altro che la propria ignoranza, non voglio dare loro nessuna soddisfazione rispondendogli. Per quanto riguarda la difficoltà di essere donna nel mondo del lavoro, ho notato che l’Italia ha ancora un sistema piuttosto maschilista dove in generale per le donne è molto più difficile fare carriera.  

VIENE FESTEGGIATO L’8 MARZO IN CINA?
Certamente! L’8 marzo in Cina le donne hanno una giornata di festività, mentre gli uomini vanno a lavorare. Il movimento per l’emancipazione femminile in Cina è partito da molto fa, molto prima della rivoluzione di Mao. Già nel 1905  ci fu un primo movimento femminile, che  rivendicava  alcuni diritti fondamentali: accesso all’istruzione, libera scelta del proprio sposo, possibilità d’intraprendere affari e di possedere proprietà personali, libertà di movimento, riconoscimento di un ruolo che non fosse solo quello di mogli e madri. Ci furono molti altri episodi, e poi con la rivoluzione del 1949, si è avuta una grande accelerazione, anche se indubbiamente forzata.

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ELSA: chiudiamo queste interviste con Elsa,  42 anni e originaria del Perù.

Sono arrivata nel 1995, con un permesso per turismo, ma il mio scopo era quello di trovare lavoro per migliorare la mia situazione. Nonostante in Perù avessi conseguito la laurea in Economia e Commercio, in Italia, la laurea peruviana non viene riconosciuta e quindi, mentre svolgevo ogni tipo di lavoro (da badante, a operaia a tempo determinato presso la FIAT) mi sono iscritta all’università per convalidare i miei studi. Nel frattempo mi sono sposata e poco dopo sono rimasta incinta, per cui tra lavoro, casa e bimbo non avevo più il tempo da dedicare allo studio e quindi ho abbandonato l’università. L’impatto con l’Italia è stato però traumatico: la lontananza dai miei familiari, le difficoltà linguistiche, abitudini di vita diverse, mi avevano messo la voglia di scappare dall’Italia e ritornare al mio paese. Questi sentimenti li ho provati per circa sei mesi. Dopo qualche anno, bussando a tutte le porte che conoscevo per trovare un posto di lavoro migliore, sono venuta a conoscenza dell’esistenza dell’associazione Alma Mater, ho presentato la mia candidatura e ho superato la selezione per cui sono stata assunta. Per me è stata l’occasione della vita, se non mi avessero assunta, il meglio a cui potevo aspirare era la trasformazione del mio contratto di lavoro a tempo determinato come operaia della Fiat, in tempo indeterminato. L’impatto con i nuovi colleghi della banca è stato buono,  per natura cerco di andare d’accordo con tutti e se sento qualche commento poco simpatico, anche se sono molto permalosa, faccio finta di non sentire. Con i clienti c’è stato un duplice aspetto: mentre con i clienti stranieri, generalmente, sono riuscita ad instaurare buoni rapporti, perché essendo anch’io straniera sapevano di trovare un’altra persona che capiva (perché le avevo vissute anch’io) le stesse difficoltà, dalla’altro ho notato qualche diffidenza da parte degli uomini di cultura diversa dalla mia. In generale però questi atteggiamenti maschilisti di chi pensa che l’argomento denaro sia prerogativa maschile, sono fortunatamente casi isolati.

CHIEDO ANCHE A TE SE E COME FESTEGGIATE L’8 MARZO IN PERU’
La festa delle donne è poco conosciuta in Perù, nonostante esista il movimento femminista. Le donne vogliono emanciparsi e migliorare in ogni ambito, nello studio, nel mondo del lavoro. Il vero problema è cambiare la mentalità machista dell’uomo, ancora troppo presente.

la Redazione

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Tasso - ver.3.0 n.12 - marzo 2012 - FISAC/CGIL ISP Liguria Piemonte Val d'Aosta - archivio - credits