Cronaca dallo sciopero

Come incomincia una giornata di sciopero? Di solito, per un sindacalista, incomincia più o meno come tutte le altre. Il lavoro c’è anche nella giornata di sciopero. Bisogna prendere bandiere e striscioni, trovarsi per la manifestazione, fare il dovuto casino, poi raccogliere i dati di adesione, fare un comunicato al volo e inviarlo ai lavoratori, pubblicare qualche foto, parlare coi giornalisti, iniziare le prima analisi delle adesioni e di come proseguire la vertenza. Ci si scambia opinioni e battute. Con sorrisi se i colleghi “ci hanno capiti”, invece con i musi lunghi se le filiali sono più aperte che chiuse… Il tutto, dopo 20 e più anni di lavoro sindacale, diventa un po’ un’abitudine, un rito che non ti lascia indifferente ma nemmeno ti emoziona più di tanto.

Invece il 2 luglio di quest’anno l’emozione è tornata, e come.

Intesa Sanpaolo ha scelto la linea dura. Ha scelto di dire chiaro e tondo che vuole cancellare tutti gli accordi aziendali, che vuole chiudere 1.000 sportelli, che non può far uscire coloro che avevano accettato di andare in esodo, ma che non è detto che il lavoro ci sia per tutti, che i contratti di solidarietà sono alle porte e che il posto di lavoro di chi ha un contratto precario potrebbe essere a rischio. Naturalmente mentre l’azienda fa queste dichiarazioni, l’amministratore delegato si aumenta i compensi, vengono mantenuti in piedi quasi 50 consigli di amministrazione nel gruppo, si spendono centinaia di milioni in consulenze.

Di tutto ciò ne abbiamo parlato con i colleghi: li abbiamo incontrati alla macchinetta del caffè, scrivania per scrivania, al telefono, nelle assemblee, con mail e comunicati. Abbiamo deciso di aprire una vertenza. Ma come andrà lo sciopero? C’è l’idea che i colleghi abbiano capito qual è la posta in gioco e condividano questa scelta, ma certo bisogna verificarlo…

E così il 2 mattina, quando ti alzi, vai a prendere le bandiere e gli striscioni e ti trovi al presidio, un po’ di emozione c’è. Anche perché il presidio è alla 8 davanti alla sede della banca e puoi verificare subito quanti colleghi entrano: la sede è sempre un buon termometro di come vanno le cose. Se chiude piazza S. Carlo allora vuol dire che lo sciopero va proprio bene… E piazza S. Carlo non apre: i colleghi che entrano sono pochissimi. Anzi un po’ per volta i portici davanti alla banca si riempiono di colleghi che non solo non sono andati a lavorare, ma sono venuti al presidio. In tanti, rumorosi, arrabbiati ma sorridenti, decisi. Molti sono giovanissimi. I fotografi li immortalano, i giornalisti li intervistano.

Se ne ricava un’impressione di forza e determinazione: la crisi c’è, i problemi anche, ma le soluzioni prospettate dall’azienda sono inaccettabili perché sbagliate. Occorre mettere in campo altre strategie, altre soluzioni.

E poi poco per volta arrivano i dati sulle altre filiali. La mia ha chiuso, anche la mia, anche quella sotto casa non ha aperto… Alla fine in tutta l’Area le filiali aperte saranno una ventina su un totale di oltre 200: meno del 10%!

E allora l’emozione non è più solo “un po’”. E’ tanta ed è piacevole. Pensi che il futuro non sia fissato e che tutti insieme si possa riscriverlo. Pensi che sarà difficile e che questo non è che l’inizio. Che l’azienda è nervosa e incattivita. Che prima dello sciopero ha fatto pressione sui direttori perché andassero a lavorare e ha cercato di impedire ai colleghi che avevano già segnato ferie di convertirle in sciopero. Che ha comunicato ai giornali che gli scioperanti sono il 50% dell’organico quando a mala pena era presente al lavoro un collega su dieci.

Ma pensi anche che non è male che l’azienda sia nervosa e, per la prima volta, fornisca dati “taroccati”. Vuol dire che ha capito che i suoi dipendenti fanno sul serio. E che la partita non sarà facile. Per nessuno, ma tantomeno per lei…

Paolo Barrera

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Paolo Barrera
Segretario di Coordinamento IntesaSanpaolo. 
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Tasso - ver.3.0 n.13 - luglio 2012 - FISAC/CGIL ISP Liguria Piemonte Val d'Aosta - archivio - credits