Il contesto: ne' spauracchio ne' astrazione  

Il protocollo sulla produttività siglato nel gruppo il 19 ottobre ha consentito la riassunzione degli apprendisti licenziati, ha definito la conferma di quelli in servizio e ha ripristinato la contrattazione aziendale. Ma ha anche comportato una serie di interventi di riduzione dei costi, in buona parte temporanei, ma comunque sensibili e non banali, più rilevanti fra tutti l’attivazione di un meccanismo di solidarietà (l’applicazione di quella che a tutti gli effetti è la cassa integrazione di settore), il congelamento fino al 2014 dei percorsi professionali futuri e il prolungamento di quelli in essere.

Era necessario tutto ciò? Il licenziamento degli apprendisti era un boutade, un ricatto, una cosa che non si sarebbe realizzata davvero? In che misura un’azienda può non contrattare con i suoi dipendenti le norme aziendali? Quale futuro attende una banca come Intesa SanPaolo?

Di solito nei confronti meno “meditati” si scontrano posizioni preconfezionate che viaggiano per slogan triti e ritriti. “C’è la crisi!”. “Le banche fanno utili”. “Non ci possono licenziare davvero”. “Gli altri stanno peggio”. “Gli azionisti si arricchiscono”. E così via… Come sempre in qualsiasi slogan c’è una parte di verità, ma allo stesso tempo l’insieme della realtà è più complesso della sua semplificazione sloganistica.

Il contesto non è uno spauracchio da sventolare o un’astrazione da ignorare. E’ un insieme di fatti concreti, per quanto spiacevoli. Un primo elemento è che la redditività della banche italiane è crollata, molto più verticalmente di quella degli altri settori produttivi. E gli investitori istituzionali tendono a togliere dai loro portafogli i titoli che non rendono almeno nella media. Se questo dovesse accadere sarebbero del tutto evidenti (e drammatiche) le ricadute sulla patrimonializzazione e sulla complessiva tenuta del settore. Quindi che le banche debbano garantire una redditività almeno allineata al resto del mercato non è un’opzione, ma una necessità.

La redditività per una banca può essere fatta in due modi: mediante l’attività propria delle banche d’affari  oppure attraverso l’attività tradizionale delle banche commerciali. Ovviamente l’attività di banca d’affari garantisce utili più alti ma espone anche a rischi enormemente maggiori  (non a caso persino negli Stati Uniti il nuovo indirizzo sta andando verso una separazione delle due attività). In Italia tutte le banche hanno un’assoluta preponderanza di attività commerciale e lo stesso sindacato (e i lavoratori!) ha sempre sostenuto la bontà di questa scelta. Ciò però ci costringe a fare i conti con il fatto che gli utili da attività tradizionale in una fase congiunturale di contrazione scontano necessariamente un’attività di ridisegno dei costi.

Vediamo i dati dell’ultima semestrale e poi dell’ultima trimestrale del Gruppo.

Su base semestrale l’utile netto è calato del 9%. Il risultato dell’attività di negoziazione è stato pari a 877 milioni di euro (che includono 368 milioni di plusvalenze complessive derivanti dal buy back (riacquisto) di propri titoli subordinati Tier 1 e dalla cessione dell’interessenza in London Stock Exchange), rispetto agli 821 milioni del primo semestre 2011 (comprendenti 426 milioni di plusvalenze complessive derivanti dalle cessioni delle quote in Prada e Findomestic). Il Risultato della gestione operativa è ammontato a 4.494 milioni di euro, in crescita del 7,4% rispetto ai 4.184 milioni del primo semestre 2011. Il complesso degli accantonamenti e delle rettifiche di valore nette (accantonamenti per rischi e oneri, rettifiche su crediti e rettifiche su altre attività) è stato pari a 2.224 milioni di euro, rispetto ai 1.673 milioni del primo semestre 2011. Questi dati sono già preoccupanti, ma quelli dell’ultima trimestrale decisamente di più. I profitti di Intesa Sanpaolo tra marzo e giugno sono quasi dimezzati a 470 milioni, pari  -41,5% rispetto ai primi tre mesi d'anno. Il conto economico trimestrale si è chiuso con ricavi per 4,13 miliardi (-14,2% rispetto al primo trimestre 2012), interessi netti a 2,43 miliardi (-2,8%). Quasi azzerato il trading, che si ferma a 161 milioni (da 716 milioni il primo trimestre). Il risultato dell'attività assicurativa è in deciso calo, a 195 milioni. Dal fronte opposto, gli oneri operativi sono ammontati a 2,24 miliardi (+1,6%). Di conseguenza il risultato della gestione operativa è stato di 1,88 miliardi (-27,6% rispetto a gennaio-marzo).

Questi dati sono estremamente preoccupanti. L’attività tradizionale non garantisce oggettivamente i livelli di redditività necessari. E l’attività tradizionale è l’unica fonte di reddito delle banche italiane.  Il dilemma per le aziende è come invertire questa tendenza. La tentazione è quella di operare selvaggiamente sul fronte dei costi azzerando la contrattazione integrativa e derogando a quella nazionale. Ma non solo. Un’altra opzione (aggiuntiva, non alternativa) è il progressivo e pesante ridimensionamento della rete distributiva, accompagnata a un radicale ripensamento del modello di servizio.  Il tutto accompagnato da una drastica riduzione degli organici.

Secondo molti analisti la situazione attuale è caratterizzata da grossi cambiamenti, con forti scosse di assestamento per quella che ormai è riconosciuta come una nuova “grande depressione”, e con attori come le banche alla ricerca di un nuovo posizionamento sul mercato. Difatti gli istituti “too big to fail” (troppo grandi per fallire) diverranno (e in alcuni casi stanno già diventando) “to big to bail (troppo grandi per essere salvate)”, creando così un clima generale di maggiore incertezza in cui saranno le banche più agili e dinamiche a conquistare nuove quote di mercato. Secondo questi studi saranno premiati gli istituti che riusciranno prima degli altri a mettere al centro del loro piano di sviluppo il bene primario andato perso negli ultimi anni: il cliente. Appunto per fare ciò, nel breve termine, le banche lavoreranno per ridurre gli organici interni e ristrutturare i propri bilanci, nella convinzione che solo dopo potranno mettere in atto un approccio con linee strategie diverse. Ovviamente il nostro punto di vista è diverso: solo organici adeguati e composti di personale motivato e professionalizzato potrà sostenere questa sfida.

Una doppia sfida, in realtà:  la gestione del potere di scelta delle persone e il progresso tecnologico.

Quanto al potere di scelta degli individui, le banche potranno contare sempre meno sulla fedeltà della propria clientela, che con l’aumento del livello medio di istruzione e di conoscenze in materia economica e finanziaria, il tutto coniugato con l’obiettivo di un’oculata gestione delle proprie finanze, spingerà ad una richiesta sempre più insistente di nuovi servizi da parte della propria banca.

Quanto alla tecnologia, internet sarà la forza dirompente per il settore bancario nel corso di questo decennio: come già per il settore commerciale, il mobile-banking (banca tramite cellulari e tablet) avrà un ruolo cruciale. Già oggi, negli Stati Uniti, il 55% dei clienti preferisce l’accesso online come canale preferito, contro il 28% dello sportello fisico; così come il cliente internauta rappresenta una forte fonte di risparmio per i conti della banca: in media 0,15 dollari per aprire un conto bancario online rispetto ai 65 dollari in una filiale (fonte: Foresee Online Banking Study, 2011). Non solo: i clienti online hanno dimostrato di rimanere fedeli al canale, e ben il 50% tra loro sono più propensi ad acquistare altri servizi. E, come detto, sarà il potenziale del mobile-banking il punto focale d’intervento: oggi sono quattro i miliardi di telefoni cellulari attivi in tutto il mondo, di cui 27% sono smartphone. Le previsioni parlano che l’internet mobile supererà l’internet desktop, in termini di traffico, entro il 2014, e questo ben spiega i motivi per cui il 93% degli istituti di credito statunitensi, già oggi, abbia un sito internet ottimizzato per la navigazione tramite cellulare o abbia già lanciato un’applicazione proprietaria. Nel panorama italiano proprio Intesa Sanpaolo si sta muovendo su vasta scala e sta sviluppando un progetto di mobile-banking molto articolato e ampio.

Queste sfide non possono non essere affrontate dalle banche italiane, pena il crollo della redditività con le conseguenze di marginalizzazione che abbiano affrontato nella prima parte di questo articolo. Come dicevano, non è un’opzione, ma una necessità. Il problema, dal nostro punto di vista, è come affrontarle con i lavoratori e non contro di loro.  Il ri-dimensionamento degli organici deve essere affrontato con tutti gli strumenti di ammortizzazione sociale previsti dal CCNL, anche nell’ottica di non chiudere del tutto il flusso di ingressi in quanto unico strumento che può garantire la capacità innovativa richiesta dalla fase. La professionalità dei dipendenti deve essere rafforzata con adeguati strumenti formativi e non deve essere mortificata con scelte di assoluta discrezionalità aziendale. L’insieme delle regole che governano l’organizzazione del lavoro in una fase di così radicale cambiamento devono essere condivise e contrattualizzate.  Più in generale i colleghi devono essere inseriti in un sistema di certezze, garanzie e tutele che consentano di affrontare con la necessaria serenità i prossimi anni che si preannunciano  molto complessi. Il protocollo sottoscritto in Intesa Sanpaolo è un primo passo in questa direzione.

Paolo Barrera

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Paolo Barrera
Segretario di Coordinamento IntesaSanpaolo. 
Per contattarlo:
barrera@fisac.net

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



Tasso - ver.3.0 n.14 - novembre 2012 - FISAC/CGIL ISP Liguria Piemonte Val d'Aosta - archivio - credits