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Adesso tocca allo
sviluppo La lunga e difficile trattativa che si è svolta in questi mesi nel Gruppo Intesa Sanpaolo ha raggiunto una serie di risultati su cui va dato un giudizio complessivamente positivo. Il Verbale di Ricognizione del 31/7/2012 ha consentito di ricostituire un quadro di garanzie per tutti quei lavoratori che avevano aderito all’esodo, ribadendo l’uso del fondo esuberi come strumento in uso nella categoria per affrontare le riduzioni di organico e trovando soluzioni al quadro di incertezza che si era venuto a creare per la riforma Fornero. In modo ancora più importante, il Protocollo su Occupazione e Produttività del 19/10 ha definito le normative da applicare ai lavoratori in servizio nella valenza del Piano Industriale 2011 – 2015: il mantenimento di un impianto di norme non discrezionali come contrattazione di Gruppo e gli strumenti da applicare per la difesa occupazionale. Come sempre è allora il caso di chiedersi: Tutto è bene ciò che finisce bene? Possiamo dormire sonni tranquilli? Come spesso accade, la risposta è: assolutamente NO! Il quadro generale del Paese non può assolutamente consentire di sognare ad occhi aperti; la situazione del sistema del Credito e del nostro Gruppo, che affrontiamo in altri articoli, non possono che essere lo specchio di un Paese in profonda crisi economica, politica e morale. Sono, ancora peggio, lo specchio di un Paese per il quale la crisi non è iniziata nel 2008 ma nel momento in cui, a cominciare dal settore industriale, si è deciso di competere con il resto del mondo non sul terreno della qualità e dell’innovazione ma sul terreno del contenimento dei costi, primo fra tutti quello del lavoro. Questa sciagurata decisione ha portato gran parte dell’industria manifatturiera italiana alla marginalizzazione sui mercati, in quanto ben prima del 2008, e venendo meno con l’Euro la leva della svalutazione della Lira, sul terreno dei costi si sono imposti i produttori dei Paesi emergenti. Inoltre le risorse che erano disponibili in anni passati sono state dirottate alla speculazione finanziaria o alla ricchezza individuale e non certo reimpiegate in sviluppo (tranne casi virtuosi che non a caso mantengono le loro posizioni di mercato). Proprio oggi, per reagire nel pieno della crisi, come hanno fatto altri Paesi Europei, la Germania per prima, sarebbe necessario disporre di quelle risorse che non ci sono più né come Stato né come Imprese! Ma le Banche cosa c’entrano? Per rimanere a casa nostra le uniche iniziative visibili che IntesaSanpaolo sta mettendo in opera sono di contenimento costi: sul personale, le consulenze, le spese amministrative, le strutture societarie (ancora un po’ pochino…) ecc. Nulla si segnala in merito a ipotesi di sviluppo, di posizionamento sui mercati né di riorganizzazioni industriali. E’ chiaro: in un momento di crisi non si può che risparmiare in quanto non è pensabile realisticamente di affidarsi a ricavi che non ci possono essere, specie per banche fortemente votate al mercato nazionale. In quest’ottica anche la trattativa sindacale che si è svolta ha il suo significato, in quanto si dovevano mettere dei paletti chiari su quanto veniva richiesto ai lavoratori. Ma la domanda è: il risparmio va fatto anche sugli investimenti che ci consentirebbero, se non subito almeno in prospettiva, di reagire alla crisi? Io penso proprio di no. Facciamo un esempio, volutamente limitato: quest’anno il nostro settore dell’Information Technology si è visto assegnare i budget di spesa mese per mese fino a giugno e solo in quel mese (a metà anno?) si è pianificata la spesa annuale, che comunque è stata ridotta rispetto all’anno precedente. E’ ovvio che in queste condizioni non si può sviluppare nessun progetto serio; si può anche pensare di sopportare una situazione del genere in via eccezionale per un anno, ma non è logico procedere oltre così, in un settore dove stare fermi significa fare dei passi indietro. Tutto sembra indicarci che stiamo percorrendo sempre la medesima strada: quella dei costi, magari vagheggiando ulteriori aggregazioni con i conseguenti risparmi di scala, oppure accarezzando l’idea di sbarazzarsi di settori improduttivi per concentrarsi sul “core business”. La gravità senza precedenti di questa crisi imporrebbe invece che IntesaSanpaolo chiarisse cosa intende fare su alcuni grandi temi di fondo. Struttura del Gruppo: la Banca dei Territori è una intuizione per presidiare il mercato o una fonte di costi aggiuntivi e inefficienze? E’ preferibile una struttura unica, un “Bancone” stile Unicredit? Rete di vendita e territorio: come si pensa di presidiare il territorio e la clientela? La scelta di chiudere ben 1000 filiali va letta come una implicita critica alla precedente stagione di aperture indiscriminate? A quale nuova strategia prelude? Abbiamo una opinione sul “cross-selling”? Governo dello sviluppo: quali sono le funzioni del Gruppo chiamate a disegnare il futuro? In capo a chi sono le scelte in materia di organizzazione, prodotti, strumenti? Può esserci una visione univoca o restiamo preda di scontri di potere e difesa di orticelli? Canali alternativi: Il dilagare dei canali alternativi alla rete filiali è un fatto che viene studiato o serve solo per motivare ai Sindacati le richieste di tagli? Abbiamo delle idee su come utilizzare la multicanalità per fare utili? Queste non sono domande oziose né hanno finalità culturali. Da ogni risposta derivano diverse ricadute in tema di sviluppo, occupazione, salario e diritti: per questo motivo credo che il sindacato non possa limitarsi a “contenere i danni” ma debba essere un soggetto attivo per incalzare l’azienda a chiarire un futuro che non è suo, ma di tutti noi. Nell’ambito di alcuni prossimi articoli vorrei provare ad approfondire alcuni dei temi citati, non con l’ambizione di essere esaustivo ma semplicemente di provare a raccogliere quello che circola in giro per il sistema. Possiamo quindi concludere questo ragionamento dicendo che gli accordi sindacali di cui stiamo discutendo in questi giorni sono importantissimi ma costituiscono solo una rete difensiva a fronte della politica di contenimento dei costi attuata dall’azienda. La partita è molto più grande e del tutto aperta. Si tratta di capire come verrà disegnata la Banca del futuro. La Fisac non può che spendere tutto il suo impegno e tutte le sue capacità in questa grande sfida. Roberto Malano [Per commenti all'articolo: tasso@fisac.net] |
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Tasso - ver.3.0 n.14 - novembre 2012 - FISAC/CGIL ISP Liguria Piemonte Val d'Aosta - archivio - credits |