|
Condivisa la strategia
sulla contrattazione di gruppo
Le assemblee di consultazione sull’accordo di rinnovo della contrattazione integrativa si sono concluse con una larga approvazione. Anche a Torino i si hanno prevalso in tutte le realtà del gruppo: da Intesa Sanpaolo al Private a ISGS. La notizia è rilevante in sé, ma non è la cosa più significativa. La cosa veramente interessante sono alcune considerazioni che possono essere collegate a questa consultazione. Incomincerei dal fatto che, salvo poche eccezioni, il voto si è distribuito in modo piuttosto omogeneo ed è arrivato dopo un discussione vera e sentita. I volantini sindacali lo dicono sempre, fa parte degli stereotipi sindacalesi. Le manifestazioni sono sempre “imponenti e riuscite”. Gli scioperi registrano sempre “un’adesione altissima”. E le assemblee vedono sempre “un dibattito ricco e partecipato”. Purtroppo l’abuso delle parole ne cancella il significato e rende difficile comunicare i fatti e la portata delle differenze. Ma questa volta è importante cercare di far emergere almeno un evento. Appunto l’articolazione delle posizioni in campo, la serietà con cui sono state espresse, e l’attenzione con cui sono state seguite e discusse. Il risultato è stato il sostanziale superamento del voto precostituito (a favore o contro) che spesso caratterizza le consultazioni sindacali. Sempre per ricorrere agli stereotipi dello slang sindacale, capita di definire “votificio” quelle assemblee (o guardando da un punto di vista nazionale, quegli interi territori) nelle quali l’esito è scontato (in un senso o nell’altro) quasi a prescindere dai contenuti o dalla discussione. Ebbene, in questa consultazioni ci sono stati pochi votifici: piuttosto molti confronti, anche scontri e talvolta rabbia, ma quasi in nessun caso è prevalso il pre-giudizio o l’ira sterile del “tutto uguale”. Credo che un passaggio di uno dei numerosi articoli che Michele Serra sta scrivendo in questo periodo sul tema del “tutto uguale” possa aiutarmi a chiarire ciò che intendo dire… “Non è la rabbia in sé a spaventarmi: la rabbia è una componente antica, inevitabile della lotta di classe o di ciò che ne rimane e, in una fase di così lacerante logoramento del lavoro salariato e di attacco frontale ai diritti sindacali, sarebbe sorprendente che quella rabbia non si manifestasse. Ciò che mi spaventa è che quella rabbia minaccia di perdere ogni riferimento al sindacato e dunque di ogni possibilità di rappresentanza. E rischia di diventare una specie di ira “liquida”, generica, non strutturata, identica al risentimento furioso e impotente che sta già spopolando in larghi settori di questo paese. E’ quando si confondono responsabilità diverse, idee diverse, scelte diverse, quando si dice “sono tutti uguali” che finisce la politica e comincia il nulla. E nel nulla sono solo i più ricchi e i più forti, alla fine, a cavarsela”. Ecco: queste assemblee hanno scongiurato ciò che spaventa Michele Serra e, a maggior ragione, che deve spaventare il Sindacato. Nel nostro gruppo non sono la sterile ira o la cupa rassegnazione ad aver prevalso. Quello che ha prevalso è il senso di realtà, la richiesta di tutele e iniziative, la voglia di difendersi ora e il desiderio di costituire le condizioni per rilanciare domani. Nulla di tutto ciò era scontato, anzi. E mentre è giusto interrogarsi sulle ragioni di quelle assemblee in cui è stata preponderante la logica tutto sommato vecchia del muro contro muro (e lo abbiamo fatto in uno degli altri articoli di questo numero), credo che sia altrettanto se non più importante indagare su quali siano i motivi per cui non sono state le pulsioni più sconfortate e autodistruttive a prevalere. Credo che i fattori siano molti. La sempre maggior conoscenza delle condizioni oggettive generali in cui versa il paese e il nostro settore, ad esempio. Ma certo rendersi conto che le cose vanno male davvero non è di per sé una cosa in grado di non deprimere gli esseri umani: è piuttosto vero il contrario. Il rapporto fiduciario con i propri rappresentanti sindacali che molto spesso sono stati in grado di porsi in maniera corretta e intellettualmente onesta può essere un altro elemento di “tenuta”. Ma la fiducia nei singoli rappresentati, il rapporto individuale, per quanto importante, non può sopperire da solo alla richiesta di prospettive almeno di difesa, se non di miglioramento. E allora? Allora secondo me la risposta più vera va cercata nella consapevolezza di come un accordo come quello sottoscritto nel nostro gruppo è davvero in grado di fare la differenza. E lo è non solo per i contenuti intrinseci, che pure sono di alto livello e chiariscono in modo in equivoco la differenza tra ciò che è “dovuto” a prescindere (molto poco purtroppo) e ciò che è di derivazione diretta e necessaria di un processo di contrattazione (quasi tutto). Lo è perché ha mostrato anche ai più distratti tra i colleghi la differenza che regna non solo tra la contrattazione e la non contrattazione, ma anche tra la contrattazione unitaria e quella separata. Purtroppo In Italia sempre più spesso il Governo, gli imprenditori, CISL e UIL e altre organizzazioni sindacali ritengono che la strada degli accordi separati sia la migliore o l’unica praticabile. Purtroppo non è così. Mettersi d’accordo tra più soggetti, spesso con storie e visioni non coincidenti, è più difficile, più faticoso. Richiede determinazione e capacità di mediazione tra chi è dalla stessa parte del tavolo ancora prima che con la controparte, ma quando si riesce a farlo i risultati sono enormemente più efficaci. E la ricchezza del nostro accordo, la sua tenuta dell’intero impianto di contrattazione integrativa, l’assenza di deroghe al CCNL, la progressività delle misure di riduzione dei costi, la ricostruzione di una reale solidarietà tra generazioni sono state possibili solo perché il fronte sindacale, pur tra mille difficoltà, è stato in grado di mantenersi unito e trovare la necessaria coesione al suo interno. Il nostro accordo non è il migliore degli accordi possibili (altro insopportabile stereotipo della “letteratura” sindacalese). Ma è un accordo che può fare scuola. Perché ha la visione strategica richiesta dalla complessità dei tempi, crea un argine nell’immediato e non cancella le prospettive di sviluppo perché adotta provvedimenti temporanei che non pregiudicano nessuno degli strumenti di negoziazione, a incominciare dalla salvaguardia dei due livelli di contrattazione. In tutti gli altri casi, in generale e anche nel nostro settore, in cui la contrattazione non ha prodotto un accordo unitario (ovvero un accordo senza la FISAC o le altre categorie CGIL) il livello di tutela per i colleghi è stato significativamente più basso, sia nei contenuti specifici che nell’impianto generale. I colleghi di Intesa Sanpaolo questo lo hanno capito perfettamente. Anche noi lo sappiamo molto bene e continueremo in tutte le sedi a sostenere con convinzione le nostre posizioni, a far sentire il peso delle nostre elaborazioni e della nostra forza organizzativa, ma sempre con l’obiettivo di trovare la più alta sintesi unitaria possibile. La forza del sindacato, di quella rappresentanza che trasforma la rabbia in azione, dell’unico argine al vuoto in cui sono i più forti a prevalere (come dice Serra), potrà essere realmente efficace solo se è e sarà una rappresentanza unitaria. Paolo Barrera [Per commenti all'articolo: tasso@fisac.net] |
|
|
Tasso - ver.3.0 n.15 - dicembre 2012 - FISAC/CGIL ISP Liguria Piemonte Val d'Aosta - archivio - credits |