L'importanza dell'unità  

Per fugare ogni dubbio, al di là delle simpatie o meno per questa testata giornalistica, non parliamo di giornali, bensì dell’unità nei rapporti sindacali.

Come tutti ben sappiamo, recentemente la CGIL ha deciso di non siglare l’accordo  sulla produttività, firmato dal governo e i sindacati delle imprese e dei lavoratori (tranne la CGIL appunto).

Rinviando ad altra sede una più attenta lettura dell’accordo ed eventuali approfondimenti, quello che mi interessa in questo frangente è scorrere le principali motivazioni che hanno portato il nostro sindacato a non firmare: palese mancanza, in questo accordo, di elementi che possano ricondurre a chiare e sostenibili politiche di sviluppo; si percorre la strada della riduzione del costo del lavoro come unica panacea contro i mali dell’economia nostrana; si svuota di contenuti l’accordo del 28 giugno scorso in materia di rappresentanza e democrazia; vi sono norme tendenti ad indebolire i contratti collettivi nazionali spostando l’equilibrio (se così possiamo definirlo) salariale e normativo sui contratti di secondo livello che sono presenti, ricordiamo, in meno del 30% delle categorie.

Questa vicenda, oltre a definire ormai una inderogabile necessità di trovare un nuovo modello di contrattazione, evidenzia uno strappo gravissimo nelle relazioni fra i maggiori sindacati di questo Paese.

Questa allarmante situazione potrebbe, purtroppo, presentarsi anche nella nostra categoria.

In un articolo di MF del 4 dicembre scorso, leggiamo (non senza un sobbalzo) il seguente titolo: “Banche, pax sindacale a rischio”.

Il tema – ovviamente – è sempre lo stesso: il costo del lavoro troppo alto. Ricordando che a differenza dell’ABI, i sindacati del settore non hanno partecipato al tavolo che ha portato alla firma separata dell’accordo del 21 novembre a palazzo Chigi, nella nostra categoria sembrerebbe che l’ABI voglia procedere con una trattativa settoriale affidando l’incarico all’ormai noto (soprattutto  ai dipendenti  Intesa Sanpaolo) Dott. Micheli.  Le soluzioni a cui tenderebbe l’ABI (con grande sforzo di fantasia, naturalmente, e sempre in logica lineare) consisterebbero nella riduzione degli organici introducendo nuovi strumenti come la Cig e il ricorso ai pre-pensionamenti obbligatori (con tutti i nessi e connessi legati alla fumosa situazione derivante dall’applicazione dell’insulsa legge Fornero); nella rivisitazione dei criteri di erogazione dei premi individuali; nell’individuazione di un “nuovo modello contrattuale”  ispirato al <<modello agenziale>> che veda una percentuale del salario a provvigione; nella rinegoziazione dei livelli retributivi tabellari al secondo livello di contrattazione. Insomma, nella rivisitazione complessiva e pesante dell’impianto che è alla base del CCNL di categoria. Noi ribadiamo “senza se e senza ma” l’importanza della contrattazione integrativa, ove presente,  ma che deve essere complementare e migliorativa della contrattazione nazionale, ed in alcun modo sostitutiva ad essa; così come ribadiamo l’inutilità di “cure”  che risultino essere ben peggiori della “malattia” che intendono affrontare. Naturalmente in tutta questa vicenda non dobbiamo scordarci che, nella nostra categoria in virtù di quanto contenuto nel CCNL firmato ad inizio anno, gli accordi si ritengono validi se sottoscritti da quelle sigle che rappresentano almeno il 55% degli iscritti del settore. Auspicando naturalmente che, prima o poi, si riesca a procedere con una verifica puntuale della rappresentanza sindacale, si capisce come gli eventi risultino intimamente correlati. Ma al di là dei tecnicismi, rimane una domanda da porsi: è sostenibile oggi in Italia (e per quanto ci riguarda, nel nostro settore) una divisione del tavolo sindacale?

Negli ultimi anni abbiamo vissuto innumerevoli tentativi di una parte della politica e dell’imprenditoria, di giungere a questo risultato. Per fortuna, fino ad oggi, ad esclusione di alcuni eclatanti casi (Fiat Pomigliano, per citare il più conosciuto), questo non è avvenuto; e la dove è successo, le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. L’importante e faticosa opera di mediazione della nostra Confederazione  è quasi sempre riuscita a correggere la rotta e a bilanciare le spinte “sfasciste”. Come affermato dai vertici di Corso d’Italia,  il mondo del lavoro italiano è già diviso e frammentato e di tutto potevamo avere bisogno, tranne che di ulteriore divisione e frammentarietà. Tutto questo alla luce di un delicato momento politico del Paese.  

Per quanto ci riguarda la Fisac, in sintonia con la CGIL, non ritiene percorribile una strada di risanamento fatta a spese dei soli lavoratori della categoria. Elementi di crescita e di sviluppo (sostenibile) devono essere perseguiti , secondo noi, attraverso l’individuazione di nuovi modelli organizzativi e produttivi basati sull’investimento in nuove tecnologie, infrastrutture, formazione dei lavoratori  e sull’individuazione di  nuovi modelli di produttività basati sul principio di maggiore “efficacia” ed “efficienza” dell’azione delle aziende delle assicurazioni e del credito, per migliorarne la competitività sul mercato nonché, certamente, sul taglio dei costi (e degli sprechi) su tutti i livelli organizzativi  così come auspicato, tra l’altro, dalla stessa Banca d’Italia.

Naturalmente l’augurio è quello che sia il Sindacato, nella sua espressione più unitaria possibile, ad essere portatore di proposte e attore principale di questa importante e non più rinviabile azione di rinnovamento, per affrontare con il coraggio dovuto  le sfide di un mondo, quello del lavoro, che oggi più che mai è in profondo mutamento. In tal direzione credo ci si è mossi con il protocollo del 19 ottobre firmato unitariamente in Intesa Sanpaolo, con il quale viene  introdotto l’elemento della “solidarietà” fra lavoratori e che ha permesso  di mantenere stabili i livelli occupazionali nel Gruppo e di arginare le insostenibili richieste dei vertici della banca.

Questa è una sfida che deve essere raccolta da tutti e tutti insieme,  con grande senso di responsabilità.  In gioco vi è il nostro futuro, quello delle future generazioni ma, soprattutto, la coesione sociale di una Paese sempre più precario e sempre meno “felice”.


<< Perché ci sia vera unità, questa deve sopportare la tensione più pesante senza spezzarsi.>>

Mahatma Gandhi

 

Giovanni Fedele

[Per commenti all'articolo: tasso@fisac.net]

 
Giovanni Fedele
RSA di SGS Moncalieri.
giovanni.fedele@intesasanpaolo.com

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



Tasso - ver.3.0 n.15 - dicembre 2012 - FISAC/CGIL ISP Liguria Piemonte Val d'Aosta - archivio - credits