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Dalla conciliazione alla condivisione

zoe3Dal part time al congedo maggiorato per i papà

Nel 1984 un accordo nazionale introduceva nelle banche il part time.

Le banche avevano allora una netta prevalenza di personale maschile e la paura che attraverso il part time si introducessero forme di lavoro precario fu nettamente prevalente rispetto alla valorizzazione delle opportunità che questa diversa articolazione degli orari offriva ai lavoratori.

L’azione sindacale, oltre a salvaguardare la proporzionalità dei trattamenti, si concentrò quindi su una rigida delimitazione del part time: l’accordo prevedeva infatti che potesse essere adibito a part time un massimo del 3% dei lavoratori in servizio e che potesse essere assunto a part time un massimo del 2% del personale.

Probabilmente molte colleghe oggi riterranno assurda l’introduzione di un limite così basso, in palese contraddizione con l’estenuante battaglia degli ultimi 30 anni per ampliare il numero delle postazioni di lavoro a part time ( e difatti nei rinnovi contrattuali successivi il limite è progressivamente salito al 20% degli interni e al 10% degli esterni).

L’introduzione del limite, progressivamente aumentato in linea con l’incremento del personale femminile, ha indubbiamente centrato l’obiettivo principale: uno strumento normalmente usato per la difesa dai licenziamenti (nel Contratto nazionale il part time è nel Capitolo “Politiche attive per l’occupazione”) è diventato uno strumento di conciliazione dei tempi di lavoro con i tempi di vita.

In molte realtà del mondo del lavoro non è così: il part time è spesso imposto dalle aziende, sia nella durata che nella sua distribuzione, e sono nettamente prevalenti le assunzioni a part time rispetto alle trasformazioni da full time. Basti pensare agli orari dei lavoratori nei centri commerciali.

Il ricorso esclusivamente volontario al part time, riservato al personale in servizio, è stato uno dei più grandi successi del sindacato di categoria, positivo esempio di conciliazione dei tempi a favore del lavoratore.

Questa dinamica ha però reso straordinariamente evidente un rovescio della medaglia: scriviamo conciliazione dei tempi per i lavoratori, ma in realtà pensiamo a conciliazione dei tempi per le donne. Sulla base dei dati di bilancio del 2014, nel Gruppo Intesa Sanpaolo i dipendenti erano 64.733, di cui 50,4% donne e 49,6% uomini: i part time erano 9.420 (ben il 14,6% del personale) ma di questi 94,2% donne e 5,8% uomini.

zoe2Se consideriamo i dati relativi ai congedi parentali (la nuova denominazione per legge delle aspettative per maternità/paternità facoltative) del 2014 i dati sono perfettamente in linea. Le 4.087 aspettative volontarie sono state così ripartite tra i due genitori: 3.852 le mamme (94,3%) e 235 i papà (5,7%).

Per un’azienda ad alto livello di scolarità, con una ripartizione paritetica tra uomini e donne, questi dati non sono certo un indicatore di parità effettiva tra i generi. Per un “sessantino” come me (come direbbe Camilleri), che si è affacciato al sindacato e alla politica sull’onda del mitico 1968, non è un risultato di cui andare orgoglioso.

Anche sulla base di queste considerazioni, come Fisac di Gruppo abbiamo negoziato la sperimentazione del lavoro flessibile con un approccio che da un lato conserva il vincolo della volontarietà per il lavoro da casa ma dall’altra cerca di ampliare la modalità del lavoro da casa, da hub e da cliente integrandolo strettamente con un’organizzazione del lavoro caratterizzata dalla multicanalità resa possibile dalle nuove tecnologie.

I primi risultati della sperimentazione nel 2015 sono stati significativi. Le strutture coinvolte riguardavano 4.500 colleghi: oltre 3.000 hanno aderito alla nuova modalità di lavoro. Dopo un anno non vi sono state revoche né da parte dei colleghi, né da parte dei capi. Le giornate di lavoro da casa (la soluzione che ha ovviamente la massima efficacia di conciliazione) sono state ben l’86% del totale. E i volontari sono stati al 56% uomini e 44% donne. Estendere il lavoro flessibile ad una platea più ampia è il nuovo obiettivo, soprattutto per la rete filiali: la prossima sperimentazione riguarderà la formazione a distanza, per la quale la fruizione da casa è sicuramente più efficace. Ci sono segnali confortanti di una più equa ripartizione tra i generi di questa nuova modalità di lavoro ma l’impatto del lavoro flessibile si potrà compiutamente valutare nei prossimi anni.

zoe4Così come dovremo valutare l’impatto della sperimentazione che ha introdotto, per un biennio dal  1/1/2016, una retribuzione maggiorata al 40% per i congedi parentali dei papà (con una integrazione aziendale al 30% previsto dalla legge): una aspettativa volontaria retribuita 1/3 in più dovrebbe almeno ridurre l’alibi per cui l’aspettativa viene fruita maggiormente dalle mamme perché hanno una retribuzione mediamente inferiore.

Sarebbe velleitario pensare che norme di welfare aziendale possano modificare comportamenti che traggono la loro origine dalla tradizione, dalla storia, dalla religione, dalla composizione sociale. Credo però che il welfare aziendale possa incidere sulla vita delle persone in maniera più rapida e più incisiva di quanto non possa fare l’evoluzione legislativa: ad esempio, l’estensione dei congedi matrimoniali alle coppie non eterosessuali dell’accordo di gruppo del 2014 ha anticipato la legge sulle unioni civili.

Se riusciremo a sviluppare forme di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, senza riservarle di fatto alle donne ma favorendo un percorso di condivisione dei carichi familiari, un altro passo per una effettiva parità tra uomini e donne sarà compiuto.

Questa è una delle direttrici dell’iniziativa della Fisac Cgil di Gruppo, perseguita con umiltà ma con determinazione: non solo convegni, ricerche e dibattiti, ma sperimentazione di concrete modifiche normative per rendere esigibili nuovi diritti per lavoratrici e lavoratori.

 

maurizio-zoArticolo di Maurizio Zoè
Segretario Responsabile FISAC CGIL Intesa Sanpaolo
maurizio.zoe@intesasanpaolo.com

 

 

 

 


venerdì 8 aprile 2016 - Conciliazione, Maurizio Zoè -
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