Dati trimestrali e riorganizzazione aziendale: quali le prospettive?
Il 14 maggio sono stati presentati i risultati dell’andamento di Intesa Sanpaolo per il primo trimestre 2013. Come sempre l’analisi di una trimestrale richiederebbe pagine e pagine. Limitiamoci allora ad evidenziare alcuni punti specifici:
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l’utile è in calo del 62% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente;
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c’è stato un accantonamento di 20 miliardi dell’attività a liquidità a rendimento zero per affrontare eventuali turbolenze sistemiche
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i proventi operativi netti sono in diminuzione di oltre l’8% o oltre il 14% a seconda che si prenda a riferimento l’ultimo o il primo trimestre del 2012.
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i crediti verso la clientela sono diminuiti di oltre il 4% rispetto ai valori medi del 2012, ma il complesso dei crediti deteriorati è aumentato di quasi il 2% nel solo ultimo trimestre, continuando un trend negativo ininterrotto da almeno tutto il 2012, mentre la copertura del rischio da credito si è mantenuta invariata ed è tra le più alte del settore.
Questi dati, in estrema sintesi, ci raccontano di una banca solida, ma che stenta a fare utili attraverso l’attività tradizionale di raccolta e reimpiego. Ma la notizia peggiore è che non si ferma la spirale negativa della riduzione del credito accompagnata alla crescita degli incagli: davvero la peggiore delle situazioni possibili per la banca “sistemica” di un paese in crisi non solo finanziaria, ma soprattutto produttiva e industriale.
Le questioni che questa situazione drammatica apre sono molteplici e, purtroppo, mentre le domande abbondano, le risposte sembrano molto difficili da trovare. Vediamo comunque se è possibile formulare almeno una serie di domande “giuste” (o almeno prioritarie) tra le infinite possibili, per verificare poi se ad alcune di esse si possano fornire delle risposte e per altre si possa almeno iniziare ad abbozzare un ragionamento di prospettiva.
In questa situazione ha un senso la conferma dello stesso dividendo dell’anno precedente?
La risposta, per quanto non accattivante, è sì. E non solo per l’ovvio interesse di parte dei dipendenti che a fronte dell’erogazione di un dividendo invariato hanno potuto rivendicare con maggior forza l’erogazione di un VAP altrettanto invariato. Ma perché il dividendo non è l’“ingiusta” remunerazione del capitale, ma la “necessaria” (giusta o ingiusta che sia) remunerazione del capitale. Il capitale di governo del nostro Gruppo è costituito dalle Fondazioni, che per loro natura costituiscono un investimento stabile e non speculativo, ma il restante capitale è mobile per definizione e quindi può essere spostato in tempo zero da un impiego a un altro a seconda della redditività (oltre che della sicurezza) che offre. E l’eventuale ritiro del capitale da parte degli investitori non solo, in ultima analisi, mette in discussione l’esistenza stessa dell’azienda, ma da subito ne mette in crisi il patrimonio e, nel caso di una banca, ne limita fortemente la possibilità di operare finanziamenti alla clientela.
C’è ancora spazio per una redditività costruita sulla tradizionale attività di intermediazione?
Questa inizia ad essere una domanda piuttosto complicata. Diciamo che, allo stato attuale dell’arte, la scelta delle banche italiane rende necessario che tale spazio esista. Infatti le nostre banche hanno fatto una scelta radicale rispetto al modello di business. Hanno scelto di non sviluppare la progettazione e la realizzazione dei prodotti finanziari (delegandolo alle banche nord europee e – soprattutto – anglosassoni) e non sono mai entrate nel campo d’azione delle banche d’affari. Questo, in periodi di forte instabilità le mette maggiormente (ma non completamente) al riparo dalle turbolenze dei mercati, mentre in periodo di ripresa, stabilità o sviluppo le taglia fuori dalla gestione e dai ritorni delle leve finanziarie. Si tratta, in altre parole, del modello che dipendenti e sindacati italiani hanno sempre caldeggiato, ma che richiede una enorme capacità di intercettare margini sempre più risicati dalla riduzione di richiesta di intermediazione bancaria e, soprattutto, dal cortocircuito del credit crunch con la concomitante crescita degli incagli.
Quali possono essere i metodi per ricostruire la redditività legata all’attività di intermediazione?
In Intesa Sanpaolo se ne stanno sperimentando almeno due: uno legato al progetto “Banca estesa” e l’altro allo spostamento del “Mid corporate” nell’ambito della Banca dei territori. Purtroppo entrambi questi progetti sembrano portare al loro interno pesanti contraddizioni e vincoli che ne mettono a rischio l’efficacia.
Quali sono le contraddizioni in capo a Banca estesa?
Il progetto “Banca estesa” dovrebbe rispondere a un serie di esigenze: riallocare le risorse in esubero derivanti da operazioni societarie o riorganizzazioni di strutture centrali, procedere a una razionalizzazione della presenza degli sportelli sul territorio privilegiando una più ampia fascia di orari rispetto a una troppo dispersiva prossimità al cliente (e quindi chiusura di sportelli e piccole filiali con concomitante spostamento di colleghi e clienti su filiali più grandi), diversificare l’offerta tradizionale per integrare e accompagnare senza eccessive sovrapposizioni lo sviluppo e la diffusione dei canali distributivi innovativi e virtuali (peraltro, su quest’ultimo aspetto consiglio la lettura dell’articolo di Roberto Malano). In realtà le eccedenza di personale da operazioni societarie non sono così abbondanti in termini assoluti, si presentano in forma del tutto disomogenea sul territorio nazionale e quando derivano da riorganizzazioni di enti centrali determinano una fortissima resistenza da parte dei responsabili; peraltro i processi di riconversione e rimotivazione del personale coinvolto non sono di semplice attuazione e spesso non offrono soluzioni adeguate (anche solo gestionalmente) alle problematiche personali e professionali che determinano (a questo proposito vi rimando all’articolo di Elisabetta Danielli). La chiusura di sportelli e piccole filiali è anch’essa disomogenea sul territorio nazionale, non produce recuperi esorbitanti di personale e si scontra con la necessità di non indisporre quella clientela che solo pochi anni fa era stata allettata con l’idea della banca sotto casa. Quanto all’integrazione tra nuovi orari e nuovi canali distributivi, il rischio di “contraddizioni” è altissimo. Quale impatto può avere sul medesimo segmento di clientela l’”educazione” a usare bancomat e home banking e, contemporaneamente, l’invito a venire a fare le operazioni bancarie (anche di sportello!) fino alle 20? I risultati, al momento e al di là delle dichiarazioni “obbligate”, sembrano essere: sconcerto tra i dipendenti, insufficienza di mezzi, disorganizzazione, esternazione di messaggi contraddittori. E’ troppo presto per trarre delle conclusioni, e soprattutto non lo si può fare sulla base di “sensazioni” (anche per questo stiamo cercando di procedere a una rilevazione di una serie di dati il più possibile “oggettivi”, come ci racconta Bruna Vigna nel suo articolo), ma certo occorre mettere in conto una revisione organizzativa del progetto e una sua valutazione anche alla luce degli incrementi di redditività che produrrà in un medio periodo (in ogni caso Silvia Atzeni, nel suo articolo, ci racconta come – oggi – si viva l’esperienza degli orari estesi). E comunque sempre essendo ben consci dei problemi in termini di tenuta dell’occupazione che l’insuccesso di tale progetto potrebbe sollevare. Problemi la cui soluzione al momento è stata gestita con il Fondo per il sostegno al reddito (che come spiegano Claudia Stoppato e Giovanni Fedele nel loro articolo è di fatto completamente a carico delle aziende), fondo la cui continuità per il futuro è però messa in discussione proprio dai decrescenti livelli di redditività delle aziende bancarie. Un altro bell’esempio di gatto che si morde la coda…
E quali sono i problemi collegati al Mid corporate?
Lo spostamento del “Mid corporate” nell’ambito della Banca dei territori risponde invece all’esigenza di cercare di riavvicinare la banca a una tipologia particolare di clientela, rispetto alla quale il doppio problema di insufficiente erogazione del credito e di crescente deterioramento del medesimo è drammatico. Ma i Centri Imprese sono stati messi nelle condizioni di gestire al meglio questo passaggio? Non credo che basti la dichiarazione che la banca sul territorio ha 200 filiali dedicate alle Imprese per risolvere il problema di un’erogazione corretta del credito. Dove per corretta, ovviamente, si intende sia per la banca che per il sistema industriale del paese che se non finanziato adeguatamente rischia un tracollo definitivo. Esigenze contrastanti, quelle della banca rispetto a quelle del sistema industriale? Forse solo apparentemente, se la banca è in grado di recuperare la professionalità che le consente di erogare il credito a quelle aziende che sono in grado di fare vera innovazione e sviluppo e al sistema industriale di evolvere verso aziende innovatrici, competitive (non solo sul versante dei costi) e realmente produttive. Un doppia sfida tutt’altro che semplice da vincere (anche alla luce delle riflessioni sulle “motivazioni” di certi crediti che Giovanni Fedele fa nel suo articolo). E anche in questo caso con l’enorme contraddizione interna al sistema sindacale che ha come suo compito precipuo e irrinunciabile quello di difendere l’occupazione esistente, soprattutto in momenti di disoccupazione crescente. E questo a prescindere se il lavoro esiste in aziende innovatrici (e probabilmente a bassa intensità lavorativa) o più banalmente inserite in filiere produttive dalle incerte prospettive.
Infine, quali sono le prospettive per Intesa Sanpaolo nel ruolo di banca sistemica per il paese?
L’ultima riorganizzazione aziendale, oltre a definire la nuova collocazione del Mid corporate, ha sancito il passaggio delle “partecipazioni” in aziende strategiche direttamente in capo all’Amministratore Delegato. E’ possibile interpretare questa scelta come una separazione tra il ruolo di finanziatore e quello di socio delle medesime aziende, ruoli che prima erano entrambi in capo alla medesima figura (il responsabile del Corporate) in modo da sciogliere una sorta di conflitto di interessi interno alla banca. Oppure è possibile interpretare questa scelta con la volontà di un progressivo disimpegno di Intesa Sanpaolo dal ruolo di banca sistemica. E’ certo presto per dirlo. Ma non sarà indifferente per il paese quale di queste due interpretazioni si dovesse rivelare corretta.
Articolo di Paolo Barrera
barrera@fisac.net
lunedì 17 giugno 2013 - Editoriali, Paolo Barrera -
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