Fare e disfare… per arrivare dove?
1° dicembre 2007: entro, insieme ad altri cinque colleghi, al polo Back Office di Genova, dopo un colloquio avvenuto pochi giorni prima con un altro collega dell’ufficio Risorse Umane che mi spiega che non cambierà assolutamente nulla, continuerò a svolgere il mio lavoro – l’Estero Specialistico – in altra sede e lo farò solo per la clientela Corporate, si tratta di una riorganizzazione che prevede la suddivisione di questo tipo di attività tra Centri Imprese e Back Office.
Mai parole sono state più incaute, da quel momento tutto ha iniziato gradatamente a cambiare e le mutazioni “genetiche” del mio lavoro sono state sempre più frequenti.
Per prima cosa mi sono resa conto che all’interno dell’azienda, nel frattempo diventata la società consortile I.S.G.S., non erano presenti riferimenti con un’esperienza professionale che consentisse di valutare la portata dell’attività che veniva svolta. E, partendo molto probabilmente dal punto di vista di chi non riesce a considerare questo, nessuno ha ritenuto opportuno affiancare a noi, sei colleghi ormai cinquantenni o più che cinquantenni, qualcuno che potesse formarsi e imparare il lavoro.
Intanto – a fine 2009 – due di noi hanno preso la strada dell’esodo e siamo rimasti in quattro….
Continuando sulla strada dell’autogestione e cercando sempre la massima collaborazione con i nostri interlocutori all’interno dei Centri Corporate, passando di riorganizzazione in riorganizzazione siamo approdati alla creazione degli HUB, poli denominati ‘’d’eccellenza’’, che prevedevano l’accentramento delle lavorazioni specialistiche in poche sedi. Così, a marzo del 2012, l’attività dell’estero specialistico del Polo Back Office di Genova è stata trasferita a Torino. Noi siamo passati a svolgere attività di estero transazionale ed un’altra professionalità è stata sradicata dalla piazza di Genova.
La stessa sorte è toccata ad altre attività come quella della Tesoreria o delle Indagini Giudiziarie, e ad altri poli sparsi per l’Italia, alcuni dei quali sono stati addirittura chiusi.
L’azienda non ha motivato questi smantellamenti con argomentazioni valide e non si è mai preoccupata di ascoltare il punto di vista degli addetti ai lavori.
Senza dimenticare gli inevitabili impatti che si avranno sul territorio, collegati al trasferimento di lavorazioni da una regione all’altra e da uffici che nel tempo avevano acquisito una grande specializzazione verso realtà in cui la stessa dovrà essere ricostruita da capo.
Pochi mesi fa, a meno di un anno di distanza dalla partenza di questo progetto peraltro non ancora portato a termine, l’azienda ha proclamato nuove riorganizzazioni. Si immagina che il lavoro migrerà di nuovo ma non sappiamo cosa faremo domani così come i clienti, ignari, non sanno come e dove saranno loro resi i servizi.
Ma qual è il motivo per cui non si riesce più a dare valore al lavoro? E perché un progetto, non ancora arrivato a completa realizzazione, viene già superato da quello successivo? Esisterà un equilibrio che possa essere mantenuto per un ragionevole periodo di tempo?
Vorrei che qualcuno all’interno dell’azienda rispondesse in modo concreto a queste domande e si ponesse il problema di valutare quanto sia produttivo per la qualità del lavoro sia delocalizzarlo sia farlo e disfarlo continuamente, per arrivare dove? Meta sconosciuta… e soprattutto quanto dista?
Elisabetta Danielli
elisabetta.danielli@intesasanpaolo.com
Addetto Estero – ISGS Polo Back Office Genova
RSA Fisac Cgil ISGS Genova
lunedì 17 giugno 2013 - Organizzazione del Lavoro -
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