Progetto Accoglienza
Ricordate il “meeter and greeter”? Se non lo ricordate siete davvero molto giovani o sono io che non voglio ammettere di essere diventato anzianotto. In ogni caso il meeter and greeter, qualche anno fa, era un collega che aveva il compito di dirottare i clienti in coda alla cassa ai canali alternativi, cioè ATM/MTA e Internet Banking.
Oggi, a qualche anno da quel progetto, è partito il ”progetto accoglienza”, che tutto sommato ricorda molto quell’esperimento, ma è decisamente più strutturato e di impatto.
Ecco come funziona: i colleghi a turno indossano un tesserino in cui è specificato nome e ruolo e accolgono i clienti, tentando di indirizzarli il più possibile ai canali diretti (bancomat e internet), incuranti delle reazioni della clientela, ma armati dei più sinceri propositi. Chi mai potrebbe non essere d’accordo col salutare chi entra, riceverlo con educazione guardandolo negli occhi, magari stringendogli la mano e offrendosi di aiutarlo?
Ma facciamo un passo indietro, se partiamo dal significato letterale della parola accoglienza troviamo definizioni come: “L’atto di accogliere, di ricevere una persona; il modo e le parole con cui si accoglie”.
Ma forse possiamo andare oltre, esplorando il campo della psicologia:
“Momento iniziale del processo di orientamento, consulenza e trattamento di persone che si rivolgono spontaneamente in una struttura…”
Bellissimo, è il migliore dei mondi possibili! Finalmente l’attenzione al cliente assume un’accezione umana, di rispetto alla persona e se la nostra azienda si impegna addirittura in un progetto, vuol dire che c’è spazio per quelle considerazioni che hanno a che fare con la qualità del rapporto e che si deve individuare nella positività della relazione, una leva indispensabile per aumentare la redditività.
E i clienti? Diverse reazioni naturalmente, passiamo dall’irriducibile che assolutamente il bancomat non lo vuole, al paranoico che, non leggendo il tesserino appeso al collo del collega, quasi fugge, domandando anche un po’ spaventato: “ma lei chi è? E cosa vuole? Perché mi insegue? Cosa le importa di cosa devo fare?”. Poi ci sono naturalmente i maniaci di protagonismo, che non vedono l’ora di essere al centro dell’attenzione e accettano di buon grado di essere scortati al bancomat, ma stranamente li ritrovi puntuali il giorno dopo in coda, in attesa di essere nuovamente “accolti”. Infine ci sono i serafici, i miei preferiti, quelli che con un sorriso imperturbabile rispondono: “lei è molto gentile, ma io sono in pensione e ho molto tempo a disposizione, fare coda non mi crea fastidi, anzi, scambio qualche chiacchiera, comunque grazie lo stesso”, come li invidio…
E i colleghi? Solo per citarne alcuni, abbiamo l’orgoglioso, che “sono quasi trent’anni che faccio il bancario, e non sono stato assunto per fare il valletto”, e poi aggiungo io devi anche spendere un po’ più di te stesso per un’attività del genere. Poi c’è il positivo, normalmente un cassiere che invece la vede genuinamente come un’opportunità di sganciarsi dalla cassa per imparare cose nuove e finalmente si sente parte di un progetto e non solo un bancomat umano. Infine c’è anche qui il serafico, che ci prova senza particolare ansia e incurante anche delle reazioni scomposte della clientela prosegue nella sua giornata, con il sorriso, senza patemi, come lo invidio…
Ora però vorrei superare per un attimo l’ironia, e analizzare su un secondo piano la questione.
Cominciamo con il domandarci come mai la banale educazione richieda uno sforzo da parte della filiale e necessiti tanto di pillole di immensa saggezza quanto di una postazione istituita per la causa.
Difficile pensare che i colleghi allo sportello o alle scrivanie siano tutti musoni e antipatici, ma è innegabile che incrociare uno sguardo e un sorriso non è così frequente; Perché non era mai stato scritto un mansionario che includesse anche questo nei nostri compiti? Perché la nostra presunzione ci portava a magnificarci dell’efficienza, della velocità, della precisione e chi sarà mai Intesa-Sanpaolo per chiederci anche un approccio accogliente con la gente?
Certo è impensabile modificare il carattere delle persone, ma sono altrettanto sicuro che non si tratta solo di questo: l’accoglienza non può essere concepita come un input, ma è il risultato di condizioni e attenzioni che generano quell’humus necessario affinché l’importanza della persona sia sentita prima di tutto dal collega (e sottolineo sentita, non nominata!).
Superando la definizione puramente letterale della parola, accoglienza significa selezione, significa portare il cliente a muoversi nel nostro spazio nel modo più economico possibile.
Non ci sarebbe nulla di sbagliato se le indicazioni così perentorie e immediate fossero supportate da scelte coerenti, così da non ricadere solamente sul collega costretto a dispensare sorrisi in cambio, quasi sempre, di pesantezza e negatività! L’accoglienza si presenta come un colpo di genio brutalmente incastrato in un puzzle dalle tessere storte. Ma forse in questo caso la chiusura casse alle 13:00 è un passo importante.
La nostra non è un’attività pedagogica, è un servizio che dobbiamo svolgere secondo le modalità e le tempistiche imposteci; perciò pretendiamo altrettanta solerzia nel mettere mano (CORAGGIOSAMENTE) a quelle azioni correttive che, in coerenza con quanto richiestoci, possano portarci a stimare un’azienda capace di vedere, valutare e intervenire laddove la miopia può vanificare tanto impegno.
Non so se sia il caso di entrare nel dettaglio delle soluzioni, come al solito la teoria ci dice che l’organizzazione del lavoro sia a carico dell’azienda, e solo le ricadute debbano essere gestite dal sindacato.
Ok, dato sfogo alla mia pancia vorrei concludere dicendo che personalmente adoro l’idea dell’accoglienza, nel senso platonico del termine. Per me, non esiste altro modo di rapportarsi con il mondo ed è anche contagiosamente positivo. Per cui non voglio passare come quello che per principio si oppone al progetto, credo solo che meritiamo una maggiore trasparenza ed un approccio da persone adulte che le cose se le dicono in faccia, sinceramente e non mascherandole dietro false ipocrisie. L’asilo lo abbiamo lasciato da un po’ e ormai sappiamo come gira il mondo.
Chiudo ringraziando i miei colleghi, quelli che come ho già scritto in passato scrivono con me, e la mia musa, senza la quale avrei davanti solo una pagina bianca.
Articolo di Francesco Mesiano
antonio.mesiano@intesasanpaolo.com
martedì 30 settembre 2014 - Francesco Mesiano, Organizzazione del Lavoro -
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