Stress e Mobbing
Fin dalla nostra elezione avvenuta nell’ottobre del 2011, abbiamo evidenziato all’azienda quelle problematiche risultanti dalle segnalazioni pervenute dai colleghi.
Le maggiori evidenze riguardavano lo “stress” per le pressioni commerciali, l’utilizzo di psicofarmaci per riuscire ad affrontare meglio le ansie da lavoro, i problemi muscolo scheletrici legati alla postazione, etc., per le quali continuiamo a consigliare ai colleghi interessati che non sono soggetti a visita medica periodica, di richiedere apposita visita dal medico competente utilizzando il modulo scaricabile dall’Intranet aziendale – Governance – Prevenzione e protezione – Medico competente – Richiesta di visita dal medico competente.
Dalla consultazione avvenuta nel corso della presentazione del primo Documento di Valutazione dei Rischi (DVR), abbiamo seguito l’evolversi della situazione per ciò che riguarda i “Gruppi Omogenei”, cioè l’insieme di lavoratori esposti a rischi dello stesso tipo secondo una individuazione che ogni datore di lavoro può autonomamente effettuare in ragione della effettiva organizzazione aziendale.
Trattandosi di materia complessa, l’azienda si è ultimamente sensibilizzata, anche grazie al Dlg 81/2008 art. 28 comma 1 e 1bis, all’accordo europeo dell’8/10/2004, all’accordo interconfederale del 9/6/2008 e all’ accordo del Min Lav. Del 17/11/2010.
Lo stress è una condizione che può essere accompagnata da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale ed è conseguenza del fatto che taluni individui non si sentono in grado di corrispondere alle richieste o alle aspettative riposte in loro.
Da un punto di vista strettamente medico, lo stress è una reazione dell’organismo fisiologicamente utile, ma quando perdura per lungo tempo, può determinare uno squilibrio tra l’ eccesso di sollecitazioni e la capacità della persona a farvi fronte; lo stress influisce quindi sia sulla salute che sulla sicurezza delle singole persone e la sua valutazione non è individuale ma è correlata a gruppi omogenei di lavoratori.
L’INAIL ha approntato un apposito strumento per il riconoscimento e la gestione dello “stress lavoro correlato”. La valutazione si articola in due fasi: una preliminare ed una approfondita.
Nella preliminare, che consiste nella rilevazione di una serie di indicatori verificabili e numericamente apprezzabili suddivisi in tre gruppi distinti, si trovano:
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gli “eventi sentinella” (indici infortunistici, assenze per malattie, turn over);
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i “fattori di contenuto del lavoro” (ambiente di lavoro ed attrezzature di lavoro, pianificazione dei compiti, carico/ritmi di lavoro, orario di lavoro);
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i “fattori di contesto del lavoro” (funzione e cultura organizzativa, ruolo nell’ambito dell’organizzazione, evoluzione di carriera, autonomia decisionale, rapporti interpersonali, conciliazione vita lavoro).
La valutazione approfondita, che non è obbligatoria, viene attivata solo nel caso in cui la valutazione preliminare evidenzi un alto livello di rischio.
Nella nostra azienda sono stati individuati così diversi gruppi omogenei che riguardano sia i processi direzionali sia i processi commerciali che quelli di supporto, oltre a specifiche attività quali: call center, lavoro notturno, autisti e guardie, video terminalisti.
La descrizione della procedura all’interno del documento sullo stress da lavoro correlato prosegue con la puntualizzazione che la fase preliminare può concludersi nella identificazione di una situazione di rischio irrilevante o basso, circostanza a fronte del quale nessun intervento correttivo viene richiesto al datore di lavoro in quanto in questo caso il datore di lavoro è tenuto solamente al monitoraggio di tale rischio.
Viceversa, nel caso emerga un rischio significativo o elevato, il datore di lavoro deve procedere immediatamente alla correzione delle criticità emerse, attraverso la pianificazione e l’attuazione degli opportuni interventi correttivi, siano essi organizzativi, tecnici, procedurali, comunicativi, etc.
Se a seguito del primo tentativo di correzione le criticità permangono, l’azienda deve programmare una fase successiva definita “valutazione approfondita”, che prevede la valutazione della percezione soggettiva dei lavoratori attraverso differenti strumenti quali ad es. questionari, focus group, interviste, etc. sempre tenendo conto dei gruppi omogenei dei lavoratori.
Per le imprese di maggiori dimensioni è permesso di realizzare l’approfondimento tramite un campione rappresentativo di lavoratori.
Il mobbing, nell’accezione più comune del termine, identifica un insieme di comportamenti violenti (angherie, vessazioni, demansionamento, emarginazione, umiliazioni, insulti, maldicenze, etc.) verso una persona e/o un gruppo di persone.
Più in generale, il termine indica i comportamenti violenti che un gruppo rivolge ad un suo membro. Il termine viene spesso utilizzato nel mondo del lavoro.
Talvolta il comportamento può sfociare in vera e propria violenza fisica, perpetrati da parte di uno o più individui nei confronti di un altro individuo, prolungato nel tempo e lesivo della dignità personale e professionale nonché della salute psicofisica dello stesso
Questa pratica è spesso condotta con il fine di indurre la vittima ad abbandonare da sé il lavoro, senza quindi ricorrere al licenziamento (che potrebbe causare imbarazzo o problemi di vario tipo al datore di lavoro) o per ritorsione, a seguito di comportamenti non condivisi (ad esempio, denuncia ai superiori o all’esterno di irregolarità sul posto di lavoro), o per il rifiuto della vittima di sottostare a proposte o richieste immorali (sessuali, di eseguire operazioni contrarie a divieti deontologici o etici, etc.) o illegali.
Per poter parlare di mobbing, l’attività persecutoria deve essere funzionale alla espulsione del lavoratore, causandogli una serie di ripercussioni psico-fisiche che spesso sfociano in specifiche malattie (disturbo da disadattamento lavorativo, disturbo post-traumatico da stress) ad andamento cronico.
Si distingue fra mobbing gerarchico o verticale e mobbing ambientale o orizzontale; nel primo caso gli abusi sono commessi da superiori gerarchici della vittima, nel secondo caso sono i colleghi della vittima ad isolarla, a privarla apertamente della ordinaria collaborazione, dell’usuale dialogo, del rispetto.
Si parla di mobbing dall’alto, quando l’attività è condotta da un superiore al fine di costringere alle dimissioni un dipendente in particolare, ad es. perché antipatico, poco competente o poco produttivo; in questo caso, le attività di mobbing possono estendersi anche ai colleghi (i side mobber), che preferiscono assecondare il superiore, o quantomeno non prendere le difese della vittima, per non inimicarsi il capo, nella speranza di fare carriera, o semplicemente per “quieto vivere”. Si definisce invece mobbing tra pari quello praticato da parte dei colleghi verso un lavoratore non integrato nell’organizzazione lavorativa per motivi d’incompatibilità ambientale o caratteriale, ad es. per i diversi interessi sportivi, per motivi etnici o religiosi oppure perché diversamente abile, oppure il mobbing dal basso; generalmente la causa scatenante del mobbing orizzontale non sono tanto le incompatibilità all’interno dell’ambiente di lavoro quanto una reazione da parte di una maggioranza del gruppo allo stress dell’ambiente e delle attività lavorative: la vittima viene dunque utilizzata come “capro espiatorio” su cui far ricadere la colpa della disorganizzazione, delle inefficienze e dei fallimenti
La pratica del mobbing sul posto di lavoro si esplica mediante la vessazione sistematica di un lavoratore dipendente o di un collega di lavoro con diversi metodi di violenza psicologica o addirittura fisica. Ad esempio: minaccia di trasferimento per il mancato raggiungimento degli obiettivi aziendali, mancato conferimento di incarichi, dequalificazione delle mansioni a compiti banali (fare fotocopie, ricevere telefonate, compiti insignificanti) così da rendere umiliante il prosieguo del lavoro; rimproveri e richiami, espressi in privato ed in pubblico anche per banalità; interrompere il flusso di informazioni necessario per l’attività, continue visite fiscali in caso di malattia (e spesso al ritorno al lavoro, la vittima trova la scrivania sgombra).
È quindi chiaro che il mobbing non è una malattia ma rappresenta il termine per indicare la complessiva attività ostile posta in essere solitamente da un datore di lavoro per demansionare il lavoratore, isolarlo e obbligarlo al trasferimento o alle dimissioni.
In Italia le tutele al licenziamento o trasferimento in altre sedi dei lavoratori sono maggiori che in altri paesi ed è abbastanza diffusa la pratica di ricorso al mobbing per indurre il lavoratore alle dimissioni laddove il licenziamento è possibile solo per giusta causa (Art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, legge 300/1970).
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LENTINI Orlando orlando.lentini@intesasanpaolo.com
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PAPPAIANNI Roberto roberto.pappaianni@intesasanpaolo.com
martedì 30 settembre 2014 - RLS -
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