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PRESSIONI COMMERCIALI: GUARDIAMO IN FACCIA LA REALTA’

La banca (o almeno la sua rete di filiali) non produce beni, ma offre servizi. Una rete che offre servizi si sostiene in base alla sua capacità di venderli. Detta così è un po’ brutale: si potrebbe ad esempio disquisire sulla distinzione tra vendita e consulenza in relazione alla delicatezza e particolarità dei servizi offerti da una banca. Non sarebbe un ragionamento peregrino, tutt’altro. L’eticità delle banche, e di riflesso quella dei loro operatori, è argomento ampio e controverso. Ma, esclusivamente ai fini dei ragionamenti sulla gestione delle politiche commerciali, potremmo momentaneamente tralasciare questa distinzione. In effetti, anche la migliore delle consulenze richiede di essere venduta. A un pubblico diffidente e in un contesto ricco di competitori. Cambierebbe insomma la sfera etica; non le questioni organizzative e di processo, che sono quelle che ci interessano quando affrontiamo il tema delle cosiddette pressioni commerciali.

Diamo quindi per assodato che in questo articolo non metterò in discussione la natura commerciale della nostra azienda, con tutto quanto implica in termini di “necessità” sempre più diffusa dell’attività di vendita anche in senso esteso. Discuterò piuttosto degli strumenti che vengono posti a corredo di quest’attività e degli effetti distorsivi che producono.

Con una specifica domanda della nostra rilevazione dati abbiamo chiesto ai colleghi di indicare a quali tra una serie di comportamenti / eventi fossero esposti. Le possibilità erano:

  • pubblicazione di graduatorie individuali
  • richiesta di reportistiche giornaliere
  • partecipazione a riunioni motivazionali
  • partecipazione a colloqui individuali motivazionali
  • ricezione di mail / telefonate motivazionali.

La domanda non prevedeva un numero minimo / massimo di risposte e non era forniti elementi interpretativi aggiuntivi. Il grafico qui sotto riporta le percentuali di risposte suddivise per Filiali Retail e Personal.

graf1

Iniziamo col considerare che le prime due risposte descrivono un’attività in cui i capi svolgono una pura funzione di classificazione e monitoraggio, senza fornire alcun elemento utile alla soluzione di problemi o creazione di strategie, mentre le ultime tre presuppongo una relazione bidirezionale (quanto positiva lo vedremo successivamente) in cui i capi sono chiamati al confronto e a fornire informazioni, argomentazioni, suggerimenti ed eventualmente a introdurre elementi correttivi.

La cosa che balza agli occhi, è come in entrambe le filiere l’attività di classificazione sia prevalente e come nella filiera Personal l’attività di monitoraggio venga immediatamente al seguito, prima di qualsiasi attività motivazionale e di confronto. Insomma, al di là di ogni dubbio i colleghi preposti alla vendita vengono certamente classificati e monitorati fino allo sfinimento, ma molto meno coinvolti e aiutati.

Peraltro siamo sicuri che riunioni e colloqui siano effettivamente utili ai colleghi, o piuttosto non siano solo un’altra occasione per ribadire stancamente o in forma aggressiva appelli generici o più o meno minacciosi?

Con una domanda specifica abbiamo indagato su come i colleghi percepiscano il tono delle comunicazioni che ricevono in occasione di riunioni, colloqui, telefonate, mail. Qui di seguito il risultato.

graf2

In questo caso la percezione è assolutamente identica tra le due filiere e peraltro è perfettamente spaccata a metà: circa il 50% ritiene di avere relazioni normali, circa il 50% ritiene che le forme di comunicazione dei capi siano improntate alla calda raccomandazione o addirittura alle minacce. Da un lato non è una sorpresa, perché abbiamo già avuto molte occasioni di citare letteralmente alcune mail di qualche Direttore particolarmente improvvido, ma dall’altro la dimensione del fenomeno sembra ancor più grave di quello che si potrebbe immaginare. Peraltro, proprio mentre stiamo pubblicando questo numero del nostro giornale, ci arrivano notizie di una serie di nuovi comportamenti inqualificabili. Li verificheremo e ve ne daremo conto.

Come gioca l’incrocio dei due aspetti che abbiamo analizzato?

Un livello intermedio di responsabili che è molto più occupato a costruire podi e gogne pubbliche e a consultare compulsivamente dati ricavati con i mezzi più fantasiosi di quanto non sia disponibile a incontrare e ad ascoltare i propri collaboratori che tipo di relazioni è in grado di mettere in campo? Quale supporto ha il collega chiamato alla vendita, quando i suoi responsabili per primi trasmettono ansia, frustrazione, insoddisfazione anziché la ricerca di soluzioni?

Abbiamo cercato di approfondire questo aspetto indagando sulla sensazione di stress percepito dai colleghi in specifica relazione alla gestione delle politiche commerciali. Questi i risultati.

graf3

Anche in questo caso il dato era ampiamente prevedibile, tenendo conto delle quotidiane attività sindacali di rilevazione dello stress, nonché  dalle prime risultanze dei focus group attualmente in corso.

Tuttavia viene evidenziata una notevole differenziazione di percezione dello stress tra le due filiere che è sicuramente sovrapponibile all’assoluta preponderanza dell’attività di monitoraggio esercitata nelle Filiali Personal rispetto a quelle Retail. In altre parole una quota di stress è fisiologicamente connessa all’attività di vendita in quanto tale ed è trasversale alle due filiere. Una seconda quota si aggiunge a causa delle cattive capacità relazionali di alcuni capi e anche questa è trasversale: come abbiamo visto i toni inadeguati vengono utilizzati in maniera percentualmente identica all’interno delle due filiere. Infine una terza quota si distribuisce in maniera disomogenea tra le due filiere in ragione della più massiccia attività di monitoraggio messa in campo nelle Filali Personal.

Il quadro che abbiamo ottenuto è coerente, ma sconfortante.

I colleghi sono chiamati alla gestione di un’attività complessa e logorante. Vengono monitorati invece di  essere coinvolti e aiutati. C’è una grave carenza di managerialità che parte dai livelli di Direzione locale, ma colpisce (ed è più grave) in pari misura molti Capi Area che a loro volta tendono a monitore e imporre invece di costruire e condividere.

La costruzione della squadra e la condivisione degli obiettivi e degli strumenti per raggiungerli non sono solo parole vuote. La capacità e la formazione manageriale dei livelli intermedi non è un optional a corredo delle competenze commerciali. E’ invece un elemento fondamentale e irrinunciabile che non può essere dato per scontato in assenza di veri e credibili percorsi formativi ah hoc.

L’azienda deve riflettere seriamente su queste questioni e smettere di derubricare sotto la voce “resistenza al cambiamento” o “scarsa collaborazione” le critiche ai modi che ha messo in campo per la gestione dell’attività commerciale. E deve farlo anche velocemente, perché il tempo a disposizione sta finendo.

Articolo di Paolo Barrera
barrera@fisac.net

 

 

 

 


lunedì 13 luglio 2015 - Organizzazione del Lavoro, Paolo Barrera -
Commenti
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Quello che vedo io nelle filiali è ancora peggio del sondaggio. Siamo tutti al limite della patologia.
Ma possibile che non si possa fare niente? Dobbiamo liomitarci a vedere (leggere) i sindacati che accusano e i capi che dicono che non è vero e che se fosse vero sarebbero iniziative di Direttori più realisti del re.
P.s.: mi viene la nausea nel leggere quelle esperienze di colleghi (venduti? Carrieristi?) che ogni mattina arrivano nella casella di posta e che raccontano o banalità o che tutto va bene madama marchesa… Svegliamoci prima che sia tardi.

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